venerdì 3 giugno 2016

E intanto va sempre peggio

“Tutti odiano la Monsanto” , in realtà non tutti odiano la multinazionale statunitense, per esempio non la odia il colosso della chimica Bayer, un'altra bestia nera degli ecologisti. Il 23 maggio l’ azienda tedesca Bayer ha annunciato di essere pronta a sborsare 62 miliardi di dollari per conquistare la Monsanto e diventare leader mondiale nel settore degli ogm.
Per tre volte negli ultimi 5 anni la Monsanto ha cercato di comprare la Sygenta, una concorrente svizzera. Alla fine la Sygenta è andata ai cinesi di Chem China e la Monsanto è diventata immediatamente preda della Bayer, un gruppo due volte più grande.

All’inizio del 2016 è stata annunciata la fusione tra le statunitensi Dow Chemical e DuPont. Se queste operazioni dovessero andare a buon fine, i due terzi del mercato mondiale dell’agrochimica e della produzione di sementi potrebbe finire nelle mani di tre sole aziende.


L’ultimo aprile è stato il più caldo dal 1880. Non solo: è stato il settimo mese consecutivo sopra la media. Gli effetti catastrofici del cambiamento climatico cominciano a superare i limiti oltre i quali ogni intervento rischia di arrivare troppo tardi. Ma c’è una causa di questo cambiamento di cui si parla poco, un rapporto della Fao in cui si spiega che i processi coinvolti nell’allevamento di animali generano il 18 per cento delle emissioni globali di gas serra legate alle attività umane, una quota superiore a quella dell’intero settore dei trasporti (stradali, aerei, navali e ferroviari), responsabile del 13,5 per cento di gas nocivi. L’allevamento è anche la causa principale del degrado ambientale e del consumo di risorse (per produrre un solo hamburger sono necessari 2.500 litri d’acqua, come rimanere sotto la doccia per quasi tre ore di fila). Un rapporto del 2009 del Worldwatch institute, condotto da due studiosi legati alla Banca mondiale, aggregando diversamente i dati disponibili sostiene che gli allevamenti sono responsabili del 51 per cento delle emissioni di gas serra. La reticenza delle organizzazioni ambientaliste è dovuta probabilmente a un insieme di fattori. Invitare a non mangiare carne, pesce, latte e uova è impopolare, e queste organizzazioni hanno bisogno del sostegno di tanti iscritti per sopravvivere, quindi privilegiano le battaglie in un certo senso più facili, che non richiedono scelte individuali drastiche. Poi certo l’industria alimentare è molto forte e ha una grande capacità di condizionare le scelte dei cittadini. Infine, in diverse parti del mondo chi contesta gli allevamenti rischia la vita: in vent’anni in Amazzonia sono stati uccisi 1.100 attivisti dei movimenti che si oppongono al disboscamento.
Cambiamento climatico, consumo e inquinamento delle risorse, deforestazione, perdita della biodiversità; e poi naturalmente le conseguenze sulla salute delle persone, i dubbi etici legati all’uccidere e al mangiare animali, le condizioni dei lavoratori di questo settore: il punto è che mentre intervenire sulle altre forme di inquinamento (trasporti, industria, produzione di energia, edilizia) richiede molto tempo ed enormi sforzi congiunti di governi e aziende, ridurre significativamente il consumo di carne, pesce, latte e uova non solo avrebbe un effetto rilevante e immediato sul cambiamento climatico ma soprattutto è una decisione che può prendere chiunque, in ogni momento. È una scelta che pensavamo di poter rimandare ai nostri figli. Forse non è più così.

Le fonti . Un nuovo colosso dell’agricoltura globale, Philippe Escande, Le Monde
Immediato, Giovanni De Mauro, Internazionale

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