martedì 2 marzo 2021

Jiddu Krisnamurti

 




“La vita vi trasporta dove vuole,
poiché voi siete parte di essa.”
(Jiddu Krisnamurti)

“Non so se passeggiando avete mai notato una pozza lunga e stretta accanto al fiume. Deve averla scavata qualche pescatore, e non è collegata con il fiume. Il fiume scorre placido, profondo e ampio, ma quella pozza è coperta di sedimenti perché non è collegata con la vita del fiume, e dentro non ci sono pesci. È una pozza stagnante, e il fiume profondo, pieno di vita e animazione, vi scorre accanto velocemente. Ora, non pensate che gli esseri umani siano così?

Scavano una piccola pozza per se stessi, lontano dalla rapida corrente della vita, e in quella piccola pozza ristagnano e muoiono, e chiamiamo esistenza questo ristagnare e questo deterioramento. Il che significa che noi tutti vogliamo uno stato di permanenza; vogliamo che certi desideri durino per sempre, vogliamo che i piaceri non abbiano mai fine.

Costruiamo un piccolo buco e ci barrichiamo dentro con le nostre famiglie, con le nostre ambizioni, le nostre culture, le nostre paure, i nostri dèi, le nostre varie forme di adorazione, e lì muoriamo, lasciando che la vita trascorra, quella vita impermanente, costantemente cangiante, tanto rapida, con le sue enormi profondità, con la sua straordinaria vitalità e bellezza.

Non avete mai notato che se siete seduti quietamente sulla riva del fiume potete udire il suo canto, lo sciabordìo dell’acqua, il suono incessante della corrente? C’è sempre uno straordinario senso di movimento verso il più ampio e il più profondo. Ma nella piccola pozza non c’è affatto movimento e la sua acqua è stagnante.

E se osservate bene vedrete che questo è ciò che vuole la maggior parte di noi: una piccola pozza stagnante di esistenza lontana dalla vita. Diciamo che la nostra esistenza nella pozza è quella giusta, abbiamo inventato una filosofia per giustificarlo; abbiamo sviluppato teorie sociali, politiche, economiche e religiose in supporto di questo modo di vedere, e non vogliamo essere disturbati perchè ciò che insegniamo è un senso di permanenza. Sapete cosa significa ricercare la permanenza?

Significa volere che ciò che è piacevole continui all’infinito, e volere che ciò che non è piacevole finisca il più presto possibile. Vogliamo che il nome che portiamo sia noto e che continui attraverso la famiglia e la proprietà. Vogliamo un senso di permanenza nelle nostre relazioni, nelle nostre attività, il che significa che stiamo cercando nella pozza stagnante una vita durevole e continua; non vogliamo nessun reale cambiamento, e perciò abbiamo costruito una società che ci garantisce la permanenza della proprietà, del nome, della fama.

Ma vedete, la vita non è affatto così; la vita non è permanenza. Come le foglie che cadono da un albero, tutte le cose sono impermanenti, nulla perdura; c’è sempre cambiamento e morte. Non avete notato com’è bello un albero spoglio che si staglia verso il cielo? Tutti i suoi rami sono ben delineati, e nella sua nudità c’è una poesia, un canto.

Tutte le foglie sono cadute e l’albero attende la primavera. Quando la primavera giunge, riveste di nuovo l’albero con la musica di molte foglie, che nella stagione giusta cadono e vengono soffiate via; questo è il percorso della vita. Ma noi non vogliamo nulla del genere. Ci aggrappiamo ai nostri figli, alle nostre tradizioni, alla nostra società, ai nostri valori e alle nostre piccole virtù, perché vogliamo la permanenza; ed ecco che abbiamo paura di morire.

Abbiamo paura di perdere le cose che conosciamo… noi vogliamo che tutto ciò che ci dà soddisfazione sia permanente; vogliamo che la nostra posizione e l’autorità che abbiamo sulle persone durino. Rifiutiamo di accettare la vita così com’é in realtà. La realtà è che a vita è come un fiume: si muove incessantemente, è sempre in cerca, esplora, sferza e allarga le rive, penetra con la sua acqua in ogni fenditura.

Ma la mente non vuole permettere che questo accada a lei. La mente capisce che è pericoloso rischiare di vivere in uno stato di impermanenza, di insicurezza, perciò si costruisce intorno un muro: il muro della tradizione, della religione organizzata, delle teorie politiche e sociali. La famiglia, il nome, proprietà, le piccole virtù che abbiamo coltivato - tutti questi sono i muri che allontanano la vita.

La vita è movimento, impermanenza e tenta incessantemente di penetrare, di abbattere quei muri dietro ai quali c’è confusione e infelicità. Gli dèi che stanno nei muri sono tutti falsi dèi, e le loro scritture e filosofie non hanno significato, perché la vita è al di là di essi. Ora, una mente priva di muri, non gravata da ciò che ha acquisito e accumulato, né dalla propria conoscenza, una mente che vive senza tempo e senza sicurezza: per una simile mente la vita è una cosa straordinaria.

Una simile mente è vita in se stessa, perché la vita non ha luoghi di riposo. Ma la maggior parte di noi vuole un posto per riposarsi; vogliamo una casetta, un nome, una posizione, e diciamo che queste cose sono molto importanti. Chiediamo permanenza e creiamo una cultura basata su questa richiesta, inventiamo degli dèi che non sono affatto dèi, ma nient’altro che una proiezione dei nostri desideri. Una mente che ricerca la permanenza presto inizia a ristagnare; proprio come quella pozza lungo il fiume, si riempie subito di materia corrotta e guasta.

Soltanto la mente non racchiusa da muri, priva di appigli, barriere, luoghi di riposo, che si muove all’unisono con la vita, che procede senza tempo, che esplora, demistifica - solo una simile mente può essere felice, eternamente rinnovata, perché è in se stessa creativa. Capite di cosa sto parlando? Dovreste capirlo perché tutto questo fa parte della vera educazione e quando lo capirete la vostra vita sarà trasformata: la vostra relazione con il mondo, con i vostri vicini, con vostra moglie e vostro marito avranno un significato totalmente differente…

Se lo capirete avrete iniziato a comprendere la straordinaria verità di cosa sia la vita, e in quella comprensione ci sono grande bellezza e amore, e il fiorire del bene. Ma gli sforzi di una mente che cerca una pozza di sicurezza e di permanenza possono solo condurre all’oscurità e al deterioramento. Una volta installatasi nella sua pozza, una simile mente ha paura di avventurarsi fuori, di cercare, di esplorare; ma la verità, Dio, la realtà o quello che volete voi giacciono oltre la pozza…

Ma potete far questo solo quando lasciate la pozza che vi siete scavati e uscite nel fiume della vita. Allora la vita ha un modo stupefacente di prendersi cura di voi, perché a quel punto da parte vostra non c’è più bisogno di curarsi di nulla. La vita vi trasporta dove vuole, poiché voi siete parte di essa, allora non c’è più alcun problema di sicurezza, di ciò che la gente dice o non dice, e questa è la bellezza della vita.” (Jiddu Krisnamurti, La ricerca della felicità, Oscar Mondadori)

Cosi va il mondo - N. Chomsky

 




IL GOLPE SILENZIOSO
Da “Cosi va il mondo”
Di Noam Chomsky

Un senato virtuale incombe sul mondo. Nessun popolo lo ha eletto, non vi è stata alcuna votazione democratica in alcun parlamento.
Si tratta unicamente di un consesso di oligarchi che si sono autonominati in base al censo ed alla classe sociale. E' composto da membri privilegiati dell'elite affaristico - finanziaria americana ed occidentale, e nella propria “costituzione” contempla solo due articoli.
Il primo dice - La nostra società è fondata sul profitto.
E il secondo - Tutti gli uomini sono eguali, ma i ricchi sono più eguali degli altri.
Per Noam Chomsky, uno dei più imminenti intellettuali viventi del nostro secolo, è su questi due semplici assiomi che si regge il neoliberismo economico che, in nome della globalizzazione dei mercati, aspira a trasformare il mondo in una immensa “fabbrica di profitti”, a beneficio di una ristretta cerchia di eletti.
Un invisibile golpe si stà perpetrando nei confronti dell'umanità tutta e non ci voglio occhiali magici per svelare il crescente divario economico tra Nord e Sud del mondo, l'impoverimento di larghi strati delle popolazioni nei paesi ricchi, in quelli poveri già lo sono, la minaccia ecologica .
Non ci vuole molto per rendersi conto degli inganni e le menzogne perpetrati quotidianamente dai media , dai grandi conglomerati finanziari, da governi apparentemente democratici ma in realtà dominati dalle politiche economiche delle classi privilegiate e delle corporation.
Chomsky analizza, con implacabile lucidità il corpo agonizzante della democrazia, straziata in modo intenzionale dai baroni di Wall Street e della comunità affaristica internazionale. E così ci rivela nella sua impietosa diagnosi, che i grandi nemici della libertà non si sono estinti con la scomparsa di uno dei più froci totalitarismi della storia , quel socialismo reale ormai agonizzante, crollato con il muro di Berlino, ma sono da ricercare oggi in una degenerazione del capitalismo americano ed occidentale.
Questo processo ha avuto inizio con la fine della seconda guerra mondiale e, attraverso un lento e subdolo meccanismo di erosione del sistema democratico domestico o l'uso della violenza politica e del terrore in stati come il Cile o il Nicaragua ha infine generato una sorta di serial killer della società civile che ha trionfato con la deregulation di Ronald Reagan e nelle riforme neo-liberiste di Margaret Thatcher in Inghilterra.
Il “j accuse” esposto nel testo “Cosi va il mondo”, prende le mosse dal vero e proprio colpo di stato sotterraneo che le corporazioni starebbero perpetrando a danno della democrazia in Occidente, estromettendo il popolo dalla vita politica. Un popolo che ormai viene chiamato a ratificare, attraverso quello che si è ridotto ad un rito formale- le elezioni - decisioni già prese e comunque separate dalle politiche economiche, che si muovono su binari diversi dalla politica vera e propria. In tal senso risulta determinante il ruolo giocato dalla “fabbrica del consenso”, ovvero i mass media che sono tuttavia grandi aziende e non può quindi stupire che l' immagine del mondo che esse presentano rifletta gli interessi e i valori dei proprietari e degli investitori.
L'obiettivo di questo sistema appare chiaro; attraverso la tanto acclamata interattività dei nuovi mezzi di comunicazione, comprese le nuove “autostrade informatiche”, bisogna garantire alla gente l'illusione di avere una parte nei progressi decisionali della società, mentre in realtà si mira a creare una massa di docili e disciplinati consumatori, di spettatori della politica, relegati in un ruolo sempre più passivo. Il risultato secondo Chomsky è perfettamente uniforme e i media sono solo uno degli elementi del più vasto sistema dottrinale e propagandistico destinato a forgiare l’opinione pubblica.

lunedì 1 marzo 2021

Realtà


IL MONDO COME LO PERCEPIAMO NON E' REALE
di Donald Hoffman.

Donald D. Hoffman, professore di scienze cognitive presso la UC Irvine (Università della California Irivine). Hoffman ha speso gli ultimi trent’anni a studiare le percezioni, l’intelligenza artificiale, la teoria dei giochi evolutivi ed il cervello, e la sua conclusione è piuttosto netta: il mondo che ci presentano le nostre percezioni non ha nulla di reale. Inoltre, aggiunge, dobbiamo ringraziare proprio l’evoluzione per questa grandiosa illusione, perché ha massimizzato le nostre capacità di sopravvivenza proprio nascondendoci la “verità”.
Porsi domande sulla natura della realtà e sganciando l’osservatore dall’oggetto osservato è uno sforzo a cavallo sui confini tra neuroscienze e fisica di base. Da un lato troverai dei ricercatori che si arrovellano cercando di capire come un grumo di materia grigia di tre chili che obbedisce solo alle ordinarie leggi della fisica possa produrre una esperienza consapevole in prima persona. Questo è il cosiddetto “problema grezzo”. Dall’altro lato abbiamo fisici quantistici, che si scervellano sul fatto che i sistemi quantici non sembrano essere oggetti definiti nello spazio finché non li si osserva. Esperimento dopo esperimento è stato dimostrato – contro ogni senso comune – che ritenere che le particelle abbiano una loro sostanza oggettiva ed una esistenza indipendente da chi le osserva conduce a risposte sbagliate. La lezione fondamentale della fisica quantistica è chiara: non ci sono oggetti che esistano in uno stato preesistente. Come lo spiega il fisico John Wheeler: “per quanto risulti funzionale in circostanze ordinarie affermare che il mondo esista là fuori indipendentemente da noi, questo punto di vista non può più venire sostenuto.”
Dunque, mentre i neuroscienziati lottano per comprendere come possa funzionare una realtà in prima persona i fisici quantistici devono misurarsi col mistero di come possa esserci qualsiasi altra cosa tranne una realtà in prima persona. In breve, tutte le strade riportano all’osservatore. Ed è qui che troviamo Hoffman, a cavallo delle diverse discipline, che azzarda un modello matematico dell’osservatore, cercando di raggiungere la realtà dietro l’illusione. Quanta Magazine lo ha incontrato per capirci di più.

Gefter: Le persone usano spesso la teoria Darwinista dell’evoluzione a sostengo dell’accuratezza delle nostre percezioni nel descrivere la realtà. Dicono: “ovviamente dobbiamo avere un quadro accurato della realtà altrimenti ci saremo estinti molto tempo fa. Se penso di stare guardando una palma quel che è una tigre, sono nei guai.”

Hoffman: Giusto. Il classico argomento che tra i nostri antenati quelli che avevano percezioni più accurate debbono avere avuto vantaggi competitivi e dunque aver passato i loro geni con maggiore frequenza di coloro che avevano percezioni meno accurate. Così, dopo migliaia di generazioni, ci sentiamo sicuri di essere gli eredi di coloro che avevano percezioni più accurate e affidabili della realtà. Suona plausibile, ma ritengo sia fondamentalmente falso. Questo ragionamento fraintende un elemento fondamentale riguardo all’evoluzione, e cioè che riguarda l’essere idonei: possedere funzioni matematiche in grado di produrre una strategia che assicuri sopravvivenza e riproduzione. Il matematico fisico Chetan Prakash ha provato un teorema che ho ideato io: stando all’evoluzione per selezione naturale, un organismo in grado di vedere tutta la realtà com’è non sarà mai più idoneo di un organismo di eguale complessità che non vede nulla della realtà tranne ciò che gli occorra per essere idoneo. Mai.

Gefter: Hai fatto simulazioni al computer per dimostrarlo. Puoi farci un esempio.

Hoffman: Diciamo che abbiamo una risorsa reale, come l’acqua, e tu puoi misurare quanta sia in un ordine oggettivo: molto poca, una quantità media, un sacco di acqua. Ora supponiamo che la tua funzione di idoneità sia lineare, e dunque poca acqua offre poca idoneità a sopravvivere, media acqua una idoneità media, molta acqua una grande idoneità. In questo caso, l’organismo che può vedere la realtà esattamente come è sarà in vantaggio, ma soltanto perché la funzione di idoneità appare allineata con la struttura presente nella realtà. Statisticamente, nel mondo reale, questo non accade mai. La norma è invece una curva a campana, ad esempio: poca acqua, muori di sete, troppa acqua, affoghi. E soltanto da qualche parte nel mezzo c’è la quantità giusta per sopravvivere. Dunque la funzione di idoneità non corrisponde alla struttura del mondo reale. E questo basta a spedire la verità verso l’estinzione. Facciamo un esempio: un organismo che evolve in modo da vedere quantità piccole o grandi di una risorsa, diciamo, come macchie rosse e indesiderabili, mentre vede quantità intermedie di risorse come macchie verdi e desiderabili. Ecco che le sue percezioni saranno idonee ad assicurargli la sopravvivenza, ma non a descrivere la verità. Non vedrà differenza tra poca o tanta, vedrà solo del rosso, anche se questa distinzione esiste nella realtà.

Gefter: E come può essere utile alla sopravvivenza di un organismo vedere una falsa realtà?

Hoffman: C’è una metafora a noi accessibile solo da una quarantina d’anni, ed è l’interfaccia del desktop. Diciamo che vedete una icona rettangolare di colore blu nell’angolo in basso a destra del vostro monitor: questo significa forse che quel file è di colore blu, è rettangolare e si trova nell’angolo in basso a destra del vostro computer? Naturalmente no. Ma queste sono le sole cose che possiamo affermare a proposito di qualsiasi icona sul desktop: il colore, la forma e la posizione. Queste sono le sole categorie a noi accessibili, eppure nessuna di esse afferma qualcosa di vero riguardo al file o qualsiasi altra cosa nel computer. Non possono proprio essere vere. E questo è interessante: non potreste dare una descrizione veritiera di cosa vi sia all’interno del computer basandovi su quello che vedete sul desktop. Nondimeno, il desktop è necessario. L’icona blu guida il mio comportamento e mi nasconde una realtà più complessa di cui non mi è necessario sapere nulla. Questa è l’idea di base: l’evoluzione ci ha forniti di percezioni adeguate a farci sopravvivere. Esse definiscono la nostra capacità di adattamento. Ma una parte del loro compito è nasconderci tutte le cose che non ci occorre sapere. E questa parte è la maggior parte della realtà, qualsiasi cosa la realtà poi in effetti sia. Se dovessimo passare tutto il tempo a cercare di comprenderla, nel frattempo la tigre ci avrebbe mangiato.

Gefter: Quindi tutto ciò che osserviamo è una grande illusione?

Hoffman: Ci siamo evoluti ad avere percezioni che ci mantengano vivi, quindi dobbiamo prenderle sul serio. Se vedo qualcosa che penso essere un serpente, non lo raccoglierò. Se vedo un treno in arrivo, non ci camminerò davanti. Abbiamo evoluto questi simboli per restare vivi, per cui occorre prenderli sul serio. Ma è un errore logico pensare che, se devo prenderli sul serio, devo anche prenderli alla lettera.

Gefter: Se i serpenti non sono serpenti e i treni non sono treni, che cosa sono?

Hoffman: Serpenti e treni, come ogni particella fisica, non hanno una sostanza oggettiva e indipendente da chi li osserva. Il serpente che vedo è una descrizione creata dal mio sistema sensoriale per darmi informazioni sulla idoneità di un dato comportamento. L’evoluzione ha disegnato soluzioni accettabili, non ottimali. Un serpente è una soluzione accettabile per dirmi come agire in una data situazione. I miei serpenti e i miei treni sono altrettante mie rappresentazioni mentali, i tuoi serpenti e i tuoi treni sono tue rappresentazioni mentali.
Gefter: Come hai approcciato queste possibilità?

Hoffman: Da adolescente ero molto interessato alla domanda: siamo delle macchine? Le mie letture scientifiche suggerivano di sì. Mio padre però era un ministro di culto e in chiesa dicevano che non lo eravamo. Quindi ho concluso che avrei dovuto farmi una opinione tutta mia. È una faccenda piuttosto importante a livello personale, se sono una macchina, mi piacerebbe proprio saperlo. E se non lo sono, vorrei sapere, che cos’ho di speciale più di una macchina? E questo mi portò negli anni ’80 al laboratorio sull’intelligenza artificiale presso il MIT a lavorare sulle forme percettive delle macchine. L’ambito della ricerca sulla vista era in piena espansione nello sviluppo di modelli matematici per ottimizzare specifiche abilità visive. Notai che sembravano condividere una struttura matematica comune, così pensai fosse possibile scrivere una struttura formale accomunasse tutti i possibili modelli di osservazione. Ero ispirato in parte da Alan Turing. Quando ha inventato la Turing Machine stava cercando di ottenere una nozione di computistica, e invece di complicarla troppo decise di trovare il più semplice modello descrittivo matematico che potesse funzionare. Quel semplice modello formale divenne il fondamento della scienze delle computistica. Quindi mi domandai, potrei trovare qualcosa di altrettanto semplice e fondamentale per la scienza dell’osservazione?

Gefter: Un modello matematico della coscienza.

Hoffman: Precisamente. La mia intuizione era: abbiamo esperienze consce. Percepisco dolore, gusti, odori, tutte le mie esperienze sensoriali, emozioni, stati d’animo e così via. Quindi voglio provare a dire: una parte di questa struttura di coscienza costituisce un modello di base di ogni possibile esperienza. Quando sto vivendo una esperienza, in base a tale esperienza posso desiderare di cambiare ciò che sto facendo. Dunque debbo avere un archivio di azioni possibili da intraprendere e una strategia decisionale che in base a ciò che sperimento mi permetta di modificare le mie azioni. Questa è l’idea alla base di tutto. Possiedo uno spazio X di esperienze, uno spazio G di azioni e un algoritmo D che mi permette di scegliere azioni in base alle esperienze. Poi ho aggiunto una W per rappresentare il mondo, che è uno spazio probabilistico. In qualche modo il mondo influenza le mie percezioni, quindi c’è una mappa percettiva che chiamo P costruita dal mondo delle mie esperienze, e quando agisco io modifico il mondo, quindi c’è una mappa A costituita dalle azioni verso il mondo. Questa è l’intera struttura. Sei elementi. Ho affermato: questa è la struttura della coscienza. E l’ho esposta perché chi vuole possa farci i conti.

Gefter: Ma se c’è un W stai affermando che esiste effettivamente un mondo esterno?

Hoffman: Questo è un punto molto suggestivo. Potrei togliere la W dal modello e metterci un agente conscio al suo posto, ottenendo un circuito di agenti coscienti. Infatti, puoi avere intere reti di complessità arbitraria. E questo è il mondo.

Gefter: Il mondo è solo un altro agente conscio?

Hoffman: Lo definisco “realismo conscio”. La realtà oggettiva come agenti consci, solo punti di vista. Considera che posso prendere due agenti consci e lasciarli interagire, e la struttura matematica di questa interazione continuerà a soddisfare la definizione di agente conscio. Questa matematica ci dice qualcosa. Posso prendere due menti e loro genereranno una nuova, singola mente unificata. Ecco un esempio concreto: abbiamo due emisferi nel nostro cervello. Ma se facciamo una operazione chirurgica separandole, una completa transectomia del corpo calloso, otteniamo evidenze palesi di due coscienze separate. Prima della separazione avevamo un solo, unificato agente conscio. Dunque non è affatto impossibile che esista un solo agente conscio. Così come nel caso ci siano due agenti consci e te ne accorgi soltanto quando vengono separati. Io non mi aspettavo questo, la matematica mi ha condotto a riconoscerlo. Suggerisce che io possa prendere osservatori separati, metterli insieme e ottenere un uovo osservatore, e posso procedere a farlo all’infinito. Sono agenti consci lungo tutta la strada.

Gefter: Se abbiamo sempre e soltanto agenti consci, ciascuno con punti di vista individuali, che succede alla scienza? La scienza ha sempre azzardato una descrizione del mondo in terza persona.

Hoffman: L’idea che la scienza misuri degli oggetti che esistono per i fatti loro; l’idea che l’oggettività risulti dal fatto che sia io che te possiamo misurare lo stesso oggetto nella stessa situazione ottenendo lo stesso risultato: ebbene, oggi la meccanica quantistica dimostra chiaramente che questa specifica idea debba venire abbandonata. I fisici ci dicono che non esistono oggetti fisici pubblici. Dunque, che sta succedendo? Ecco come la vedo io: posso parlare del mio mal di testa e ritenere di stare comunicando in modo efficace con te perché anche tu hai avuto mal di testa. La stessa cosa è vera a proposito di mele, della luna, del sole e dell’universo. Esattamente come hai il tuo mal di testa, hai la tua luna. Assumo anche che sia molto simile alla mia, e questa assunzione potrebbe essere falsa, ma è alla base della mia possibilità di comunicare, e questo è il massimo che possiamo fare in materia di oggetti fisici condivisi e scienza oggettiva.

Gefter: Non molte persone nell’ambito delle neuroscienze o della filosofia o dello studio della mente sembrano pensare molto alla fisica di base. Pensi che sia stato un ostacolo per coloro che tentano di comprendere la consapevolezza?

Hoffman: Penso lo sia stato. Non solo stanno ignorando i progressi in fisica di base, sono anche spesso espliciti nell’affermarlo. Dicono apertamente che la fisica quantistica non sia rilevante riguardo alle funzioni del cervello casualmente coinvolto nei processi di consapevolezza. Sono certi che debbano esserci classiche funzioni di attività neurale che esistano in modo indipendente da qualsiasi osservatore, spiking rates, connection strengths at synapses (NdT non ho trovato una traduzione medica specifica, sono evidentemente funzioni cerebrali), forse persino proprietà dinamiche. Sono tutte nozioni tradizionali della fisica Newtoniana, dove il tempo è un valore assoluto e gli oggetti esistono in termini assoluti. E poi si stupiscono di non fare alcun progresso. Si negano gli incredibili spunti offerti dai progressi della fisica. Questi risultati sono lì per essere usati, eppure continuano a dire “restiamo fermi a newton, grazie, restiamo 300 anni indietro nella nostra fisica.”

Gefter: Io sospetto che reagiscano a modelli come quelli di Roger Penrose e Stuart Hameroff, dove si considera il cervello ancora da un punto di vista fisico, ancora ancorato nello spazio, anche ipoteticamente utilizza una qualche capacità quantica. Quel che stai affermando tu invece è “guardate, la meccanica quantistica ci dice che dobbiamo mettere in discussione qualsiasi nozione di oggetti fisici ancorati nello spazio”

Hoffman: È esattamente quello che penso. I neuroscienziati affermano “non ci serve evocare processi quantici, non ci servono funzioni ad onda quantica che collassano nei neuroni, possiamo usare la fisica classica per descrivere i processi cerebrali.” Io sottolineo la più grande lezione della fisica quantistica: neuroni, cervelli, spazio, tutti questi sono solo simboli che utilizziamo, non sono reali. Non è che ci sia un cervello classico che attua una qualche magia quantica: è che non c’è alcun cervello! La meccanica quantistica afferma che gli oggetti classici, inclusi i cervelli, semplicemente non esistono. Per cui, le mie affermazioni sulla natura della realtà sono assai più radicali e non riguardano una qualche attività quantica esercitata dal cervello. Anche Penrose non è andato fino in fondo. La maggior parte di noi, del resto, nasce realista. Siamo nati credendo negli oggetti fisici, è un retaggio molto, molto difficile da superare.

Gefter: Tornando alla tua domanda da adolescente: siamo delle macchine?

Hoffman: La teoria formale degli agenti consci che ho sviluppato è universale a livello di computazione – in questo senso, è una teoria di tipo meccanico. E posso trarne reti neurali e di scienza cognitiva proprio perché è una teoria computazionalmente universale. Non di meno, non ritengo ad oggi che siamo delle macchine, in parte perché distinguo tra una rappresentazione matematica e ciò che viene rappresentato. Come realista cosciente, postulo esperienze coscienti come primitive ontologiche, gli ingredienti di base di tutto il mondo. Affermo che le esperienze sono la reale moneta del reame. Le esperienze quotidiane, il mio reale mal di testa, il mio reale gusto del cioccolato, questa è la natura fondamentale della realtà.

Simone Weil - MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI POLITICI

 


1 - Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.

2 - Un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.

3 - L’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.

Per via di queste tre caratteristica, ogni partito è totalitario in embrione e nelle aspirazioni.
Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.
Queste tre caratteristiche sono verità di fatto, evidenti a chiunque si sia avvicinato alla vita dei partiti.
La condizione necessaria e sufficiente perché il partito serva efficacemente la concezione del bene pubblico, in vista del quale esiste, è che possieda una grande quantità di potere.
Ma in realtà nessuna quantità finita di potere potrà mai essere considerata come sufficiente, soprattutto una volta che la si sia ottenuta.
Così la tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre.
Il temperamento rivoluzionario porta a concepire la totalità. Il temperamento piccolo borghese porta a convivere con l’immagine di un progresso lento, continuo e illimitato. Ma nei due casi la crescita materiale del partito diviene l’unico criterio rispetto al quale si definiscono in ogni cosa il bene e il male. Esattamente come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’Universo fosse stato creato per farlo ingrassare.
la propaganda è sempre un tentativo di asservimento dello spirito. Tutti i partiti fanno propaganda. Chi non ne facesse scomparirebbe, in virtù del fatto che gli altri ne fanno.
Immaginiamo il membro di un partito - deputato, candidato al Parlamento o semplicemente militante - che prenda in pubblico il seguente impegno: «Ogniqualvolta esaminerò un qualunque problema politico o sociale, mi impegno a scordare completamente il fatto che sono membro del mio gruppo di appartenenza, e a preoccuparmi esclusivamente di discernere il bene pubblico e la giustizia».
Questo linguaggio sarebbe accolto in modo negativo. I suoi, e anche molti altri, lo accuserebbero di tradimento. I meno ostili direbbero: «Perché, allora, ha aderito a un partito?», ammettendo così ingenuamente che entrando in un partito si rinuncia a cercare unicamente il bene pubblico e la giustizia. Quell’uomo sarebbe escluso dal suo partito, o per lo meno ne perderebbe l’investitura, non sarebbe certamente eletto.
Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E allora, di fronte a esso, in stato di menzogna.

Spillover

 




LO SPILLOVER E’ IL SALTO DI SPECIE DEGLI AGENTI PATOGENI DAGLI ANIMALI ALL’UOMO.

Questo libro è stato scritto nel 2012 ed è ancora oggi la lettura di riferimento per chi – non specialista – cerchi di capire cosa sta succedendo all’umanità. È un racconto apocalittico costato a David Quammen dodici anni di ricerche per essere certo di poter raccontare con esattezza e dovizia di particolari che cosa è lo “spillover”, il salto di specie degli agenti patogeni dagli animali all’uomo.
Quammen racconta di Ebola, Sars, Coronavirus e peste bubbonica. In questo libro potente e sconcertante, Quammen cita un vocabolo a cui pare dovremo abituarci nei prossimi decenni: zoonosi. Ne fanno parte anche AIDS (30 milioni di morti), tubercolosi bovina, la febbre del Nilo occidentale, il virus di Marburg, la Rabbia, l’Hantavirus sindrome polmonare, l’Antrace, la febbre della Rift Valley, la larva migrans oculare, la febbre emorragica boliviana, malattia della foresta di Kyasanur e una strana afflizione chiamata Encefalite di Nipah, che ha ucciso maiali e allevatori di maiali in Malesia.

In Spillovver era già previsto: a) che si sarebbe verificata una pandemia causata da un virus capace di evolvere e adattarsi rapidamente; b) che il virus sarebbe stato trasmesso da un animale, verosimilmente un pipistrello; c) in una situazione in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici vivi; d) in un luogo come la Cina. Quammen però non è solo un divulgatore scientifico: Spillover appartiene a tutti gli effetti al nature writing, genere a metà tra l’esplorazione naturalistica e l’indagine letteraria. Quammen è uno scrittore potente e Spillover fa paura.