sabato 25 giugno 2016

Mircea Elide

MIRCEA ELIDE




1907-1986 professore alla cattedra di storia delle religioni dell’Università di Chicago, dove rimase titolare fino alla morte, è considerato uno dei più importanti storici delle religioni .
Negli anni 1920 – 1930 si è imposto come leader spirituale della cosiddetta “generazione 27” che aveva l’aspirazione culturale di vivere il maggior numero di esperienze spirituali possibile. Nell'occidente si inserì nei circoli culturali delle maggiori università dove tenne lezioni e corsi entrando così in contatto con altri storici delle religioni.
Le sue opere più importanti sono :
  • Trattato di storia delle religioni
  • Storia delle credenze e delle idee religiose
  • Il mito dell'eterno ritorno

Gli antichi insegnamenti dei nativi d'America


L'autore si ispira agli insegnamenti degli anziani nativi d'America per proporre un percorso di riflessione e cambiamento che coinvolge la vita di tutti gli esseri umani e la salvaguardia del Pianeta. Dalle parole e dagli esempi degli anziani maestri emergono quelle Istruzioni Originarie che, benché siano tra i principi innati, gli esseri umani hanno dimenticato. Manitonquat sostiene, con passione e devozione, la necessità di recuperare e praticare questi insegnamenti per ricostruire un mondo più giusto per tutte le specie che lo abitano. Un libro delicato e penetrante, gioioso e poetico, intriso di un profondo rispetto per l'Universo e per tutte le creature. Manitonquat, chiamato anche Medicine Story, è narratore, poeta e guida spirituale della nazione indiana "Wampanoag".

La via dello sciamano


Michael Harmer, autore
Antropologo , esponente di spicco le movimento transpersonale, questo libro è ritenuto fondamentale quale guida alla scopeta della coscienza sciamanica. Harmer ha svolto una opera di grande portata per rendere la sua ricerca antropologica accessibile ad un pubblico occidentale per dare un senso alla realtà degli stati di trance e della consapevolezza mistica.
Ha fondato la "Foundation for Shamanic Studies " a cui oggi dedica tutta la sua attività



Everyman

Il senso della vita per Philip Roth, giornalista , 2 premi Pulitzer
Inizio del libro

Intorno alla fossa, nel cimitero in rovina, c'erano alcuni dei suoi ex colleghi pubblicitari di New York, che ricordavano la sua energia e la sua originalità e che dissero alla figlia, Nancy, che era stato un piacere lavorare con lui.C'erano anche delle persone venute su in macchina da Starfisch Beach, il villaggio residenziale di pensionati sulla costa del New Jersey dove si era trasferito dal 2001, gli anziani ai quali fino a poco tempo prima aveva dato lezioni di pittura (...)
Prima dell'intervento alla carotide destra fa visita in cimitero alla riesumazione delle ossa dei suoi genitori
Non aveva l'impressione di fingere. Non stava cercando di fare in modo che qualcosa si avverasse. Questa era la verità, l'intenso rapporto che aveva con quelle ossa.
Sua madre era morta ad 81 anni, suo padre a 90. Ad alta voce disse a loro:- Ho 71 anni. Il vostro ragazzo ha 71 anni.- Bene. Hai vissuto,-rispose sua madre, e suo padre disse:- Voltati indietro ed espia le colpe che puoi espiare, e con quello che ti resta tira avanti meglio che puoi.
Non poteva andare via. La tenerezza che sentiva era incontrollabile. Come il desiderio irresistibile che fossero ancora tutti vivi. E ch etutto potesse ricominciare da capo (...)
Ultima pagina del libro
Un mercoledì mattina di buon ora andò a farsi operare alla carotide destra. La procedura era esattamente la stessa dell'intervento alla carotide sinistra. Aspettò il suo turno in anticamera con tutti gli altri pazienti in programma sino a quando non chiamarono il suo nome, e nel camice leggerissimo e nelle pantofole di carta venne accompagnato in sala operatoria da un' infermiera. Questa volta, quando l'anestesista mascherato gli chiese se voleva l'anestesia locale o generale, scelse l'anestesia generale, per rendere l'operazione più sopportabile della prima volta.
Le parole pronunciate dalle ossa lo facevano sentire allegro ed indistruttibile. Così pure il sudato controllo dei suoi pensieri più cupi. Nulla poteva estinguere la vitalità di quel ragazzo dal corpo liscio come un piccolo siluro che un tempo, arrivato a cento metri dalla costa nell'oceano tempestoso, si lasciava portare a riva dai cavalloni dell'Atlantico. Oh, che abbandono, e che odore d'acqua salata e che sole cocente! La luce del giorno pensò, penetrava dappertutto, estati piene di quella luce dardeggiante da un mare sempre in moto, un tesoro visivo così vasto e prezioso. Perse conoscenza sentendosi tutt'altro che abbattuto, tutt'altro che condannato, ancora una volta impaziente di realizzare i propri sogni, ma ciò nonostante non si svegliò più. Arresto cardiaco. Non esisteva più, era stato liberato dal peso di esistere, era entrato nel nulla senza nemmeno saperlo. Proprio come aveva temuto dal principio.

Autobiografia di uno Yogi


IN UNA LUCE ACCECANTE
La teoria della relatività di Eisntein ha ridotto l’universo a sola energia, ovvero alla luce. La materia è semplicemente “energia concentrata” e la solidità delle cose è, in un certo senso, illusoria.
Ma cosa ha a che fare tutto questo con i “poteri miracolosi” degli yogi e dei saggi?
Yogananda spiega che essi sono in grado di mettersi in uno stato in cui cessano di identificarsi con il proprio corpo o con la materia in generale. A partire dalla loro consapevolezza che il mondo materiale è essenzialmente maya , illusione, possono letteralmente trasformare la propria struttura molecolare da materia a energia e luce, cosa che consente loro di essere , per esempio, in due luoghi allo stesso tempo. Uno yogi diventa così “una cosa sola con l’universo” e di conseguenza può materializzare e smaterializzare oggetti senza sottostare al principio di gravità. La capacità di uno yogi di “diventare luce”cioè di concentrare l’energia della luce è la ragione per la quale le apparizioni divine di ogni religione sono spesso descritte in “una luce accecante”.
I maestri spirituali vedono l’universo come lo vide “dio” quando lo creò: come una massa indifferenziata di luce. Diventando una sola cosa con quella luce, tanto i saggi indù quanto i santi cristiani sono liberi, allo stesso modo, dai limiti della materia, consentendo così il verificarsi dei miracoli.
Da “autobiografia di uno Yogi” di Paramahansa Yogananda – 1946


Scegliendo questo libro si pensa di leggere una piacevole storia di vita di un saggio orientale, ciò che invece si ottiene è una introduzione ad alcuni dei misteri dell’universo.
All’inizio del libro si trova la citazione biblica “se non vedete segni e prodigi, voi non credete” Yogananda la inserì perché sapeva che le persone sono cosi legate alle proprie abitudini che a volte solo i miracoli possono scuoterle abbastanza da spingerle a interrogarsi su questioni divine.
Tuttavia, il messaggio più ampio è che l’autorealizzazione attraverso il controllo logico della mente e del corpo è una scienza che chiunque può apprendere.
E' possibile leggere tutto il libro senza credere a nulla di ciò che c'è scritto ma vedete se il vostro scetticismo riesce a resistere anche all'ultima pagina, dove sono contenuti i grani di una lettera scritta dall'obitorio di Forest Lawn a Los Angeles, dove il corpo di Yogananda venne posto dopo la sua morte nel 1952. A differenza di qualsiasi altro cadavere in cui si fosse imbattuto il direttore, quello di Yogananda non mostrava alcun segno di decomposizione neanche tre settimane dopo che vi era giunto.
Anche le circostanze della sua morte furono straordinarie, ma per conoscerle assieme ad altre mille dettagli dovrete leggere il libro

Anam Cara ( anima amica)


Il libro della saggezza celtica di John O’Donohue

Se inseguiamo il potere, come fa la maggior parte delle persone, dobbiamo essere indifferenti agli altri, ma cosi facendo perdiamo la nostra capacità di compassione e di cura

Risulta facile dimenticarsi la bellezza e il fascino del mondo in cui viviamo, la pioggia che cade fuori dalla finestra , il verde di una foglia, una risata con un amico, ascoltare la musica che ami. Chi conduce una vita tranquilla apprezza queste cose nel modo giusto, ma per la maggioranza di noi momenti simili cadono nell’ombra delle svariate battaglie che ci troviamo a combattere per il successo, per ottenere riconoscimenti, per crescere spiritualmente.
O’Donohue afferma che cercando di far entrare per forza la nostra vita in schemi prestabiliti, programmi e piani, sopprimiamo inconsapevolmente il nostro potenziale di gioia. Invece di prestare attenzione ai nostri sensi e al ritmo stagionale della nostra vita, finiamo per vivere in qualche modo una esistenza meccanica.
Se ci immergiamo nei nostri sensi, riscoprendo le cose più semplici, attraverso questa strada del tutto fisica potremmo arrivare ad un profondo apprezzamento spirituale della vita.
O’Donohue ricorda i grandi maestri di meditazione orientali quando afferma che “ Non esiste alcun programma spirituale” Non si dovrebbe imporre nessuna nuova pratica al nostro regime quotidiano o credere che esistano fasi progressive di crescita spirituale, dovremmo invece immergerci di più in profondità nell’esistenza che abbiamo ora “ se esistesse un cammino spirituale, sarebbe lungo mezzo centimetro ma profondo svariati chilometri” .

Una vita spirituale pienamente vissuta non riguarda il numero di monasteri visitati o la quantità di meditazione praticata, ma sino a che punto si è stati disposti ad abbandonare le proprie paure ed a concedere qualcosa di se stessi.

Un Corso in Miracoli


Esiste una innumerevole quantità i testi scritti sotto qualche forma di “channelling” cioè sotto dettatura di una qualche sconosciuta fonte ispiratrice come ad esempio “Conversazioni con Dio” o “ Il libro di Margery Kempe” ma Un Corso in Miracoli rimane il punto di riferimento per tutti.
E’ stato definito la Bibbia del nuovo millennio ed il paragone non è esagerato. Come la Bibbia sembra contenere una risposta per ogni questione ed è cosi esteso che è improbabile lo si legga dal principio alla fine. Con una logica semplice ma rigorosissima e con uno stile del testo spesso eccellente, induce il lettore ad condividere il suo dettato.
La stesura del testo ebbe origini insolite, nel 1965 la dottoressa Helen Schucman, psicologa ricercatrice del Columbia-Presbyterian Medical Center di New York. Il suo posto di lavoro non era diverso da tanti altri, nel fatto che le politiche interne e l’ambizione dl personale a posizioni di prestigio avevano creato un’atmosfera piuttosto tesa. Un giorno il capo del suo dipartimento, dottor William Tretford, le dichiarò di essere stanco di quello che stava accadendo e che ci doveva essere un modo migliore di lavorare, la Schucman acconsentì ad aiutarlo a trovare quel modo. Ben presto cominciò a fare sogni strani, poi a sentire una voce che sembrava volesse che lei scrivesse ciò che le diceva, la prima frase che trascrisse sul suo blocco di appunti fu “ Questo è un corso in miracoli”. Thetford batté a macchina questi appunti dando inizio ad un processo che durò sette anni, la Schucman e Thetford sono considerati i veicoli per l’apparizione del libro, piuttosto che i suoi autori.
Questo libro può essere considerato una illusione ? Si potrebbe pensare così salvo per il fatto che il testo è di una chiarezza cristallina, la Schucman era atea e che mai sfruttò economicamente l’enorme successo del libro.
Il libro viene presentato come “un regolamento per essere umani in questo universo”, svelando alcuni principi che operano infallibilmente, che noi ci prestiamo attenzione o meno.
Ma perché un corso in miracoli ? Nelle parole del libro un miracolo consiste semplicemente nel “rimuovere ciò che impedisce la consapevolezza della presenza dell’amore”. Questo si verifica quando vediamo le cose come realmente sono e non attraverso le nebbie dell’arroganza e l’ignoranza del sé. Questo evento è un miracolo perché è permanente, potremmo dimenticarci che è accaduto, ma appena lo ricordiamo a noi stessi ne rinnoviamo l’effetto.

La distinzione che viene fatta nel libro tra realtà ed irrealtà è importante. Ciò che percepiamo appare vero, ma lo è solamente attraverso le lenti con cui lo vediamo noi. Ciò che invece è non si percepisce ma lo si sa , passo che ricorda l’affermazione che fece C. G. Jung nel corso di una intervista, alla domanda se credesse o meno in Dio Jubg rispose " Io non credo - io so"

Memorabile rimane la parte dedicata alle relazioni personali, per il libro siamo destinati a sentirci sempre un po’ insicuri riguardo alle nostre relazioni, poiché esse non poggiano su fondamenti solidi, infatti siamo sempre convinti di sapere quello che è meglio per noi, ma in realtà l’ego non ha un obiettivo per la nostra relazione, se non con quello di usarla a nostro beneficio. Nel libro si dimostra quanto i nostri rapporti con gli altri sono forgiati sull’egoismo invece che da un desiderio di sincera unione d’amore.

Un altro tema tra i tantissimi affrontato è la necessità di perdonare, non perché sia un atto piacevole, ma perché ci consente di liberarci dalle percezioni errate e vedere nuovamente la verità. Perdonare significa vedere l’essenziale innocenza di una persona, la verità che sta dietro la facciata. Quando saremo riusciti a farlo, invece di sentire continuamente il bisogno di giudicare o aggredire , avremo una relazione risanata.

Alcuni lettori potrebbero scoraggiarsi per la terminologia cristiana usata nel libro , che però viene semplicemente usata per esprimere verità universali presenti in ogni religione. Se si mantiene la mente aperta è difficile non trarre qualche ispirazione dalla lettura del libro che ci regala l’idea meravigliosa che la vita sia semplicemente un corso per comprendere le leggi spirituali che possono renderci felici.

domenica 19 giugno 2016

Il senso di essere associati

Al momento abbiamo solo tre iniziative fisse;
la seconda domenica del mese dalle 10 alla sera,
il quarto venerdì di ogni mese, dalle ore 20.00 alle 22,00, per presentare 3 pratiche e tecniche olistiche
ogni tre mesi il Cabaret letterario seriamente divertente.
Tutte le iniziative sono per gli associati, vengono pensate sperando siano di interesse per loro ed in armonia con lo scopo della associazione.
Ma se non interessanti, come è evidente che non lo sono , beh si dovranno cambiare, pensarne di nuove.
Ma se invece lo sono allora perché ad esse gli associati non partecipano?
E’ 1 giorno al mese + 3 ore al mese + 3 ore ogni tre mesi.
Si non mi sembra che si debba rinunciare a tutto quello che si vuole fare, si non mi sembra un impegno grande, ma forse mi sbaglio.
Eppure sarebbe semplice segnarsi tali occasioni sulla propria agenda e tenerle strette al proprio cuore.
Sentire il piacere, il gusto di esserci perché è magari una bella cosa ritrovarsi, passare del tempo insieme a scoprire, parlare, provare, sperimentare, divertirsi….ma la mia visione del mondo non conta, sono solo un illuso.
Come il dare per scontata la condivisione, quel spontaneo desiderio di condividere con chi conosciamo qualche cosa che ci piace, che riteniamo significativo, che riteniamo possa giovare anche ad altri, estendendo così la conoscenza di quello che la associazione fa…ed invece…non è così.
Capisco che le nostre iniziative non sono occasioni per “passare il tempo” o ludiche tipo sagre con bancarelle e l’onnipresente banchetto di wurster, crauti e birra.
Per l’amor del cielo, nulla di male , anzi, ce ne sono talmente tante.
Come sono tante le occasioni “irrinunciabili” come andare al cinema, a qualche spettacolo, a…..quello che volete, ma che a pensarci bene alla fine sono sempre le stesse cose, quelle abitudini che alla fine ci fanno trovare impreparati, passivi al nuovo, al diverso.
E’ sempre stato il mio sogno riuscire a fare spendere alla gente un pò del loro tempo per parlare in modo approfondito di alcune cose che sembrano importanti.
La maggior parte del tempo tutti hanno una tale fretta che non trovano neanche un attimo per parlarne.
La conseguenza è una specie di superficialità quotidiana senza fine, una monotonia che le persone scoprono anni dopo, quando è stroppo tardi per tutto anche per rammaricarsi di tutto il tempo passato in cose di nessuna importanza per la loro esistenza, liquidando alla fine il tutto con una rassegnata alzata di spalle, un fa niente, come se non si trattasse della propria vita.
Il nostro tempo non è infinito, ciascuno di noi non esiste che per un breve intervallo di tempo, e in tale intervallo può esplorare solo una minima parte di ciò che è l’intero universo.
Vivendo in questo mondo sconfinato che può essere ora amichevole ora crudele, gli uomini si pongono una moltitudine di interrogativi . Come possiamo comprendere il mondo in cui ci troviamo? Quale è la natura della realtà? Che origine ha tutto questo? L’universo ha avuto bisogno di un creatore? Perché c’è qualcosa invece di nulla? Perché esistiamo?
La maggior parte delle persone non dedica molto tempo a preoccuparsi di simili questioni, ma quasi tutti di tanto in tanto ci pensiamo.
Viviamo in una epoca di grande confusione e sconvolgimenti sociali, immersi nella turbolenza del progresso tecnologico. Alcuni hanno reagito attaccandosi alle loro credenze religiose come ad una sorta di punto fermo in mezzo a tanti mutamenti, e ciò contribuisce a spiegare in parte l’affermarsi del fondamentalismo, la non accettazione dell’altro, la non accettazione di altre visioni dell’esistenza.
Alcuni sono inclini a vedere dove li porterà la marea del cambiamento. Per questi ultimi, i limiti delle convinzioni personali costituiscono un’ulteriore sfida da affrontare e vincere.
Il pianeta, l’universo e la conoscenza sono assai più grandi di tutti noi. In tale contesto, le nostre lotte e preoccupazioni quotidiane appaiono fondamentalmente effimere e transitorie, per quanto importanti possano sembrarci al momento presente, averne consapevolezza è certamente uno dei primo obiettivi che ognuno di noi dovrebbe porsi nella vita.
Ecco questo è lo scopo che si prefigge quello che vorremmo fare e che facciamo nella associazione e attraverso l’associazione.
Ma non è semplice ne facile in una società dove tutto può essere commercializzato, in una società in cui anche l’appagamento della sete spirituale diventa un bene economico e non si può fare a meno di pensare che spiritualità e trasformazione possano essere acquistati nei seminari del fine settimana o acquistando un libro o mettendosi nella mani di un santone. Santoni, divulgatori, guru, praticanti di channelling, sensitivi, terapisti delle vite anteriori e individui spinti da interesse personale spesso banalizzano idee realmente importanti attirando la derisione del grande pubblico, svilendo temi fondamentali che meritano senza dubbio un trattamento migliore.
L’obiettivo primario di quello che facciamo e che vorremmo fare deve essere quello di fornire autentiche prospettive per una vita sostenibile cercando di dare un senso alla nostra esistenza sulla Terra.

Cosa potrebbe esservi di più importante?

mercoledì 8 giugno 2016

10 Malattie Spiritualmente trasmissibili

10 Malattie Spiritualmente Trasmissibili
di Mariana Caplan


C’è una giungla là fuori e questo è vero per la vita spirituale non meno che per ogni altro aspetto della vita. Crediamo davvero che una persona per il semplice fatto di aver fatto meditazione per cinque anni, o aver fatto 10 anni di pratiche yoga, sarà meno nevrotica di un’altra?
Nel migliore dei casi sarà un pò più consapevole di esserlo. Giusto un pò.
E’ per questo che ho speso gli ultimi 15 anni della mia vita facendo ricerche e scrivendo libri sulla coltivazione del discernimento nel percorso spirituale [...]
Diversi anni fa trascorsi un’estate vivendo e lavorando in Sud Africa.
Appena arrivata dovetti confrontarmi subito con la viscerale realtà di trovarmi nel paese con il più alto tasso di omicidi al mondo, dove lo stupro era la norma e più della metà della popolazione era sieropositiva — uomini, donne, gay e non.
Dopo aver conosciuto centinaia di insegnanti spirituali e migliaia di praticanti attraverso il mio lavoro e i viaggi, sono rimasta colpita dal modo in cui le nostre opinioni spirituali, esperienze e prospettive diventino similmente “infette” da “contaminanti concettuali” — del resto una relazione confusa e immatura con principi spirituali complessi può risultare invisibile e insidiosa quanto una malattia sessualmente trasmissibile.
Le seguenti 10 classificazioni non si intendono come definitive ma sono offerte come uno strumento per rendersi consapevoli di alcune delle più comuni malattie spiritualmente trasmissibili:

1- Spiritualità Fast-Food:
Mescolando la spiritualità con una cultura che celebra la velocità, il multitasking e la gratificazione istintiva il risultato è molto simile ad una Spiritualità Fast Food. E’ un prodotto della fantasia comune e comprensibile secondo cui il sollievo dalla sofferenza della condizione umana può essere veloce e facile. Una cosa è chiara comunque: la trasformazione spirituale non può essere ottenuta con una soluzione tampone.
2- Spiritualità d’imitazione:
E' la tendenza a parlare, vestirsi e comportarsi come immaginiamo farebbe una persona spirituale. E’ un tipo di imitazione spirituale che emula la realizzazione spirituale così come una
fabbrica di pelle di leopardo imita la vera pelle di un leopardo
3- Motivazioni confuse:
Sebbene il nostro desiderio di crescita sia genuino e puro, finisce spesso mischiato con motivazioni minori come il desiderio di essere amati, il desiderio di appartenenza, il bisogno di colmare il nostro vuoto, la credenza che il sentiero spirituale eliminerà la nostra sofferenza e ambizione spirituale, il desiderio di essere speciali, migliori di, essere “gli unici”.
4- Identificazione con le Esperienze Spirituali:
In questa malattia l’ego si identifica con le nostre esperienze spirituali ritenendole “le proprie”, e iniziamo a credere di incarnare intuizioni sorte in noi in certi periodi.
Nella maggior parte dei casi non dura per sempre, sebbene tenda a durare più a lungo per quelli che ritengono di essere illuminati e/o fungono da insegnanti spirituali.
5- L’Ego Spiritualizzato:
Questa patologia si produce quando la struttura della personalità egoica diviene profondamente intrisa di concetti e idee spirituali. il risultato è una struttura egoica “anti-proiettile”. Quando
l’ego diventa spiritualizzato siamo invulnerabili all’aiuto, a nuovi stimoli o a feedback construttivi. Diventiamo esseri umani impenetrabili e bloccati nella crescita spirituale, tutto nel nome della spiritualità.
6- Produzione di Massa di Insegnanti Spirituali:
Ci sono diverse tradizioni spirituali trendy che producono persone convinte di essere ad un livello di illuminazione spirituale, o Maestria, che è ben al di là del loro reale livello. Questa malattia funziona un pò come un nastro trasportatore spirituale: metti su questo bagliore, ottieni questa intuizioni, e — bam! — sei illuminato e pronto ad illuminare altri in modo simile. il problema non è che questi insegnanti insegnino, ma che rappresentino se stessi come maestri spirituali.
7- Orgoglio Spirituale:
nasce quando il praticante, dopo anni di sforzi ha effettivamente raggiunto un certo livello di saggezza e usa questo traguardo per giustificare la chiusura verso un’ulteriore esperienza. Un sentimento di “superiorità spirituale” è un sintomo di questa malattia trasmessa spiritualmente. Si manifesta come una sottile sensazione del fatto che “Io sono migliore, più saggio e al di sopra degli altri perchè sono spirituale”.
8- Mente di Gruppo:
Anche descritta come pensiero-di-gruppo, mentalità cultica o malattia dell’ashram, la mente di gruppo è un virus insidioso che contiene molti elementi della tradizionale co-dipendenza. Un gruppo spirituale sigla in modo inconscio e sottile degli accordi rispetto al modo corretto di pensare, di parlare, vestire e comportarsi. Individui e gruppi contagiati dalla “Mente di Gruppo” rigettano individui, atteggiamenti e circostanze che non si conformano alle regole, spesso non scritte, del gruppo.
9- Il Complesso dei Prescelti:
Il Complesso dei Prescelti non è limitato agli Ebrei. E’ la credenza che “Il nostro gruppo è spiritualmente più evoluto, potente, illuminato e, per farla semplice, migliore di ogni
altro”. C’è un’importante differenza tra il riconoscere di aver trovato il sentiero, l’insegnante o la comunità giusta per se stessi, e l’aver trovato L’Unico sentiero.
10- Il Virus Mortale:
“Sono arrivato”. Questa patologia è così potente da essere terminale e mortale per la nostra evoluzione spirituale. E’ la credenza che “Io sono arrivato” all'obiettivo ultimo del sentiero spirituale. Il nostro progresso termina nel momento in cui questa credenza si cristallizza nella nostra psiche perché appena cominciamo a credere di aver raggiunto la fine del sentiero cessa ogni crescita ulteriore.

Secondo gli insegnamenti di Marc Gafni “L’essenza dell’amore è la percezione, quindi l’essenza dell’amore per se stessi è la percezione di se stessi. Puoi innamorarti soltanto di qualcuno che riesci a vedere chiaramente–incluso te stesso. Amare è avere occhi per vedere. Solo quando guardi te stesso chiaramente puoi cominciare ad amare te stesso”

E’ nello spirito di questo insegnamento che credo che una parte decisiva dell’apprendere il discernimento nel sentiero spirituale sia la scoperta della pervasiva malattia dell’ego e dell’ auto-inganno che sono in tutti noi. Ed è qui che abbiamo bisogno di senso dell’humor e del supporto di veri amici spirituali. Via via che affrontiamo i nostri impedimenti alla crescita spirituale arrivano momenti in cui è facile cadere nella disperazione, nell’auto svalutazione e perdere la nostra fiducia nella Via.
Dobbiamo mantenere la fede, in noi stessi e negli altri, se vogliamo fare una qualche differenza in questo mondo
____

Amatorialmente tradotto in italiano da 10 spiritually transmitted deseases

Fare del bene agli altri ad ogni costo


Quando fare del bene agli altri diventa una ossessione.
Avendo a cuore i valori fondanti della cultura olistica che sono alla base della ricerca dell'Essere, invito tutti a diffidare di tutte quelle persone per le quali "fare del bene agli altri" è una specie di missione ossessiva, di mantra.
Le spiegazioni a questa loro ossessione sono solo due:
o stanno perseguendo la via della santità oppure ...oppure hanno "un secondo fine" .

Se è la santità la loro ispirazione beh! Nulla da dire, ma se parliamo di "un secondo fine" beh allora anche qui ci sono solo due possibilità
la furbizia o un ego devastante, 
non saprei quali dei due sia peggio.
La morale ? 
Occhi aperti, sempre.

martedì 7 giugno 2016

La Custode del miele e della api


Sì! In tempi come questi è proprio quella cosa che si è persa, la speranza di tempi migliori, la speranza di poter stare bene, la speranza di sentirsi parte di una comunità ed è questo il nostro progetto, essere un mezzo per far stare bene le persone, impegnarci perché il futuro sia migliore, far sentire la gente di essere parte di una comunità con valori condivisi.
Belle parole direte voi, ed in un certo senso lo sono ma sta a noi non farle rimanere parole morte.

Un libro di Speranza. Una lettura per sognare un mondo migliore
Cristina Carboni – La custode del miele e delle api.

Le api ci spiegano un modo di vivere in cui tutti quanti hanno la loro importanza. Insegnano ad una visione della vita da un altro punto di vista, quello della lentezza, considerando tutto quanto con la giusta prospettiva e con una certa importanza; non c’è niente dato per scontato.

In tutta la letteratura spirituale dell’ Occidente e dell’ Oriente Cristiano non solo le api hanno sempre rappresentato una grande figura, una metafora di un grande insegnamento di questa strana popolazione che ci punge e ci dà il massimo della dolcezza con il suo miele;

- uno è quello della capacità di lavorare insieme, dell’essere tutti importanti

- l’altro è il saper fare le cose con il tempo che serve, prendendo lo spazio, dilatando lo spazio sino a far sì che un fiore diventi il miele.

Il mondo delle api è una lezione molto importante, anche per chi oggi ricerca una propria dimensione spirituale perché ci continua a ricordare che nessuno di noi è davvero capace di uscire dai problemi da solo.

Don Milani, un uomo di cultura ed educazione, diceva che “la grandezza delle cose è quella di sentirle insieme, di poter essere e percepire se stessi come parte di una comunità che può risolvere i propri problemi”, quella comunità che oggi facciamo tanta fatica a vivere all’interno delle città dove domina la paura, all’interno dei continenti che si pensano, di volta in volta, l’Oriente di un Occidente e l’Occidente di un Oriente, all’interno di questo pianeta in cui rappresentiamo questa unica famiglia nella quale così poco ci rispecchiamo e della quale percepiamo più le paure che il valore di solidarietà che ne può emergere.

lunedì 6 giugno 2016

Esperienza Mistica, Fede religiosa e Quotidianità

A che "serve" tutto questo ?
Il senso della riflessione che segue è per tutte quelle persone che si sentono "appagate" e "felicemente realizzate" e quindi perfettamente integrate in questa società.
Ma cosa è questa società?
Il pensiero consumistico fonda i suoi principi sul sistema di "consumo e business", dove la possibilità di partecipazione e di fruizione dipende unicamente dalla quantità di denaro che si possiede.
La visione attuale della vita in occidente è condizionata dal “sistema di cultura globale” che si basa appunto su consumo e business.
Questo sistema, protratto nel tempo, ha indotto le persone a condividere la convinzione che "senza una adeguata quantità di denaro non sia possibile fare niente".
E’ questo che porta le persone a credere che la realizzazione di una qualsiasi idea o progetto di vita, non dipenda da loro stessi o dal valore della idea, ma da quello che possiedono.
In questo modo il valore della persona risulta sottomesso al potere del denaro, annullando il principio che "Ognuno di noi possiede gli strumenti per ottenere la felicità e vivere una esistenza significativa" e sostituendolo con " la felicità è un prodotto che si può solo acquistare".
Basare la possibilità di realizzazione la nostra esistenza sulle disponibilità di risorse economiche, significa sostenere il sistema di immagini stereotipate che hanno generato il problema.
Bloccare questo circolo vizioso, di cui siamo vittime e artefici, non è semplice perché significa scardinare abitudini consolidate e porre in discussione convinzioni su cui la maggior parte della gente ha basato la propria esistenza.
Il nostro tentativo di fermare questo circolo vizioso "denaro=felicità" si chiama Il Tempo Condiviso.
L’iniziativa “ IL TEMPO CONDIVISO” è una porta aperta su altre prospettive di vita in cui al centro non vi è il denaro ma l'essere umano per quello che è e per come è.
Ci prefiggiamo lo scopo di dare una minima conoscenza per evitare di cadere nella trappole del "business del benessere" o tra le braccia di "millantatori di credito" o dei soliti "speculatori" che con il Benessere vogliono arricchirsi alle spalle della gente.
Far scoprire alla gente che la "normalità" fa rima con "naturalità" essere spontanei e naturali significa essere autentici, autenticità dal greco autos - fedele a se stesso, quindi una ricerca alla scoperta di noi.
Se questo è di tuo interesse vieni alle nostre giornate ogni seconda domenica del mese “IL TEMPO CONDIVISO” e se ti interessa APPROFONDISCI QUI

venerdì 3 giugno 2016

E intanto va sempre peggio

“Tutti odiano la Monsanto” , in realtà non tutti odiano la multinazionale statunitense, per esempio non la odia il colosso della chimica Bayer, un'altra bestia nera degli ecologisti. Il 23 maggio l’ azienda tedesca Bayer ha annunciato di essere pronta a sborsare 62 miliardi di dollari per conquistare la Monsanto e diventare leader mondiale nel settore degli ogm.
Per tre volte negli ultimi 5 anni la Monsanto ha cercato di comprare la Sygenta, una concorrente svizzera. Alla fine la Sygenta è andata ai cinesi di Chem China e la Monsanto è diventata immediatamente preda della Bayer, un gruppo due volte più grande.

All’inizio del 2016 è stata annunciata la fusione tra le statunitensi Dow Chemical e DuPont. Se queste operazioni dovessero andare a buon fine, i due terzi del mercato mondiale dell’agrochimica e della produzione di sementi potrebbe finire nelle mani di tre sole aziende.


L’ultimo aprile è stato il più caldo dal 1880. Non solo: è stato il settimo mese consecutivo sopra la media. Gli effetti catastrofici del cambiamento climatico cominciano a superare i limiti oltre i quali ogni intervento rischia di arrivare troppo tardi. Ma c’è una causa di questo cambiamento di cui si parla poco, un rapporto della Fao in cui si spiega che i processi coinvolti nell’allevamento di animali generano il 18 per cento delle emissioni globali di gas serra legate alle attività umane, una quota superiore a quella dell’intero settore dei trasporti (stradali, aerei, navali e ferroviari), responsabile del 13,5 per cento di gas nocivi. L’allevamento è anche la causa principale del degrado ambientale e del consumo di risorse (per produrre un solo hamburger sono necessari 2.500 litri d’acqua, come rimanere sotto la doccia per quasi tre ore di fila). Un rapporto del 2009 del Worldwatch institute, condotto da due studiosi legati alla Banca mondiale, aggregando diversamente i dati disponibili sostiene che gli allevamenti sono responsabili del 51 per cento delle emissioni di gas serra. La reticenza delle organizzazioni ambientaliste è dovuta probabilmente a un insieme di fattori. Invitare a non mangiare carne, pesce, latte e uova è impopolare, e queste organizzazioni hanno bisogno del sostegno di tanti iscritti per sopravvivere, quindi privilegiano le battaglie in un certo senso più facili, che non richiedono scelte individuali drastiche. Poi certo l’industria alimentare è molto forte e ha una grande capacità di condizionare le scelte dei cittadini. Infine, in diverse parti del mondo chi contesta gli allevamenti rischia la vita: in vent’anni in Amazzonia sono stati uccisi 1.100 attivisti dei movimenti che si oppongono al disboscamento.
Cambiamento climatico, consumo e inquinamento delle risorse, deforestazione, perdita della biodiversità; e poi naturalmente le conseguenze sulla salute delle persone, i dubbi etici legati all’uccidere e al mangiare animali, le condizioni dei lavoratori di questo settore: il punto è che mentre intervenire sulle altre forme di inquinamento (trasporti, industria, produzione di energia, edilizia) richiede molto tempo ed enormi sforzi congiunti di governi e aziende, ridurre significativamente il consumo di carne, pesce, latte e uova non solo avrebbe un effetto rilevante e immediato sul cambiamento climatico ma soprattutto è una decisione che può prendere chiunque, in ogni momento. È una scelta che pensavamo di poter rimandare ai nostri figli. Forse non è più così.

Le fonti . Un nuovo colosso dell’agricoltura globale, Philippe Escande, Le Monde
Immediato, Giovanni De Mauro, Internazionale

mercoledì 1 giugno 2016

La Dispersione

La “Dispersione”.
Un metodo filosoficamente faticoso per buttare via la propria vita.

La dispersione è una delle più intense malattie spirituali di questo secolo, delle più… epidemiche, forse perché favorita da una proliferazione virale di proposte “psico-accattivanti” e di “facility” terapeutiche. Non ci sono vaccini contro tale malattia. Ci sono solo cure e terapie complesse, ostiche, a volte spiacevoli, di cui parlano gli antichi e ormai bistrattati filosofi.
Cosa intendiamo per dispersione?
Semiologicamente il termine è composto di due parti, il separativo dis e il verbo spargere. Spargere a sua volta si attesta sulla radice spher nel senso arcaico di “seminare”.
Disperdere è quindi un “seminare male”.
Ma ciò che viene dis-perso vuol dire che “non si trova più nel posto dove ci saremmo aspettati che fosse”.

I dispersi ci sono nelle guerre, nei terremoti, insomma in quelle situazioni in cui il termine “morti” è troppo forte e si preferisce evitarlo, ma la probabilità della fine è assai elevata.

Succede anche nella matematica o nella statistica quando la dispersione dei dati rende indefinibile o non trattabile il campo di misura.
Notoriamente tale termine, nel tantrismo shivaita, come nel taoismo, come in altre filosofie d’oriente, è riferito allo scorretto uso del seme maschile e, nella cabala come nell’ermetismo occidentali indica qualcosa di assai simile.
E’ evidente che da una cattiva semina dipende un cattivo raccolto o, addirittura, nessun raccolto.
Eppure, in alveo cristiano, siamo spesso devastati sia dai cattivi seminatori come dai cattivi raccoglitori.
E sui cattivi raccolti e meglio lasciar perdere (v. ad esempio in Matteo 13,24-30) .
Il Vecchio e il Nuovo Testamento abbondano nel criticare le infinite modalità di dispersione che conducono alla perdita di energia, alla inconcludenza e, alla fine, al caos.
Si può disperdere ciò che si ha come “talento” personale e naturale, dis-sipando le proprie qualità o le proprie energie (v. ad esempio in Matteo 25,13-30).
Si può disperdere coscientemente ciò che ci è stato donato generosamente, facendone cattivo uso, in quanto non si è consapevoli del suo valore.
Si può disperdere “se stessi”, perché neurologicamente e psichicamente stressati, frammentandosi in modo da sconnettere la propria unitarietà.

Ci si può disperdere in un eccesso di attività eterogenee che impediscono la fissità.
Ma una delle dispersioni peggiori è quella delle parole, probabilmente incluse quelli presenti in queste pagine (v.Sal.140).

La dispersione ha una molteplicità di cause psichiche: dalla instabilità, all’ansia, alla smania di acquisizione e di possesso, alla precipitazione nel fare, senza comprendere cosa si sta realmente facendo, alla vanagloria, che spinge a esibire ciò che si ha e perfino ciò che non si ha, all’incapacità nel dosare le proprie e le altrui risorse, al bisogno di convincere, opponendo una presunzione di giustizia (la nostra) ad una supposizione di ignoranza (quella altrui, ovviamente).

Tutte queste sindromi psichiche sono efficacemente riducibili, secondo Prudenzio (Psicomachia) in una prevalenza del settenario vizioso su quello virtuoso.

Se consideriamo che l’intemperanza assai più dell’accidia (tanto temuta dagli asceti, soprattutto in ambito esicasta) determina oggi le varie forme di dispersione, avremo quanto meno trovato un possibile agente patogeno della malattia su cui stiamo indagando.

La dispersione allontana ovviamente dalla consapevolezza di sé, moltiplica inutilmente gli sforzi ma dona, al “malato”, l’illusione di esercitare una grande attività, di svolgere un gran lavoro e rischia di ubriacare e confondere colui che “si” disperde”, sia attraverso l’autoreferenza che viene generata da questa polluzione nell’agire, che attraverso il plauso più o meno interessato degli occasionali compagni di viaggio.

Questo fenomeno concerne perciò sia l’immenso popolo dei discenti che quello dei docenti, a qualsiasi titolo si vogliano usare tali nomi (è applicabile quindi al popolo, ai politici, ai maestri, agli allievi, ai manager, agli esecutori, ecc.).
La dispersione può ottenere perciò facili (anche se transitori) approvazioni esteriori, come brevi gratificazioni interiori.

E’ un facile e potente generatore di “stress” o di stanchezza.

Però, nulla più della ipercineticità rende il nostro fare “visibile”, il nostro interventismo apprezzabile, il nostro ansioso rincorrere un risultato equivalenti ad una dimostrazione di operatività. Non importa quanto l’azione sia sterile o caparbia, importa il moto.
Forse per questo l’ascetismo ortodosso russo insiste tanto sulla necessità di fermarsi.
E’ evidente che viviamo in un mondo denso di stimoli al correre, al prendere (che sia un fare cerebrale o fisico non ha importanza). E’ altresì evidente che il nostro malessere esistenziale, è una spinta implacabile verso l’accondiscendenza nei confronti di “dispersive” proposte che portino verso un alleviamento transitorio del disagio della nostra ansia da dispersione (più che da prestazione).
L’attenzione che noi riserviamo a questa polluzione caotica di eventi che, in parte ci inseguono e in parte siamo noi stessi ad inseguire, è una caratteristica del nostro malessere e dello sviluppo di una bulimia intellettuale o emotiva, che non riuscendo a fermarsi su nulla, tende ad ingurgitare tutto sperando di saziarsi con la quantità anziché con la qualità.

Ma è anche evidente che questo girovagare, lungi dall’autentico cammino del “cavaliere errante”, lungi da perseguimento di una fissità iniziatica, conduce verso la dispersione indiscriminata dell’energia, verso l’annichilimento della coscienza, frastornata dall’ego che non riuscendo mai a “star bene” con se stesso cerca tutti i modi per “star meglio”… ingurgitando qualcosa d’altro.
Sulle origini del disagio, sulla necessità e reale importanza di una insoddisfazione, che stimoli il procedere verso un obiettivo quantomeno confuso, abbiamo scritto due libretti.
Non esiste, infatti, una indagine, una ricerca, che non parta da una percezione soggettiva d’incompletezza, da una fame verso un tutto che pacifichi il corpo e la mente.
Tutta la filosofia esamina, secondo varie tesi, lo sviluppo di tale disagio e propone sia soluzioni disfattiste che costruttive, mentre la teologia ne offre a volte di preconfezionate, accedendo alla fede.
Ma l’uscita dal gorgo della dispersione, della ricerca affannosa e infruttuosa, del girovagare ansioso, è possibile solo attraverso l’esperienza sulla propria pelle.
Non si può essere felici perché qualcuno ce ne ha data la ricetta, né essere illuminati perché lo abbiamo letto in un libro.
E’ una soluzione che va trovata con le proprie forze, con le proprie energie, una volta che si sia consapevoli del proprio “disperdersi”.
“Maestro”, “via”, “percorso”, “pratica” sono solo nomi, parole vuote fintanto che non si sia compresa la necessità di “chiudere il rubinetto del girovagare “.
Anche il fermarsi è un fare, è comunque una scelta. Ma è un “fare”, rischioso e consapevole, virtuoso e attento, difficile.
E’ un “fare esperienza” che però non sia un disperdere energie.
E qui casca l’asino.
Infatti il mondo è pieno di persone che riescono a fare di tutto e di più, in modo frettoloso e raffazzonato,… pur di non fare qualcosa come si deve
E più le proposte di attività promettono “risultati” in tempi brevi, più sono perseguite.
C’è chi va a fare yoga, e subito dopo un po’ di Tai-chi, poi va in palestra, poi va in analisi, poi studia Borges, poi fa un corso di meditazione “rapida”, poi va in piscina e infine si propina un po’ di medicina alternativa, che in tale contesto, non ci sta mai male.

Ora, se noi mettiamo in fila tutte queste attività, anche se ognuna viene teoricamente svolta per inseguire un generico “star meglio”, è facile rendersi conto che ci vuole una energia notevole a perseguirle tutte, e a reggere i continui cambi di “assetto” e di attenzione, dovuti ad una valanga che coinvolge la psiche, il fisico e un po’ (se va male) anche lo spirito.

Una caratteristica di questo mondo amante del sincretismo ormai perfino nello spirito, è che ognuna di tali attività sembra perseguire lo stesso fine (la ricerca di un equilibrio, di un centro), mentre ruota, spesso e volentieri, in ambiti eterogenei, e propone soluzioni filosofiche e fisiche “precotte”, dove è facile che il cuoco-maestro che pretende di fornire “ricette”, non abbia ne la qualità, ne lo ius per farlo.
Tale affastellamento conduce perciò, come già detto, verso un’inevitabile indigestione d’informazioni, apparentemente appetitose, perché ben guarnite e ben servite.
Per informazioni non intendiamo solo quelle intellettuali (ormai, ahinoi, “scaricabili” da… wykipedia), ma anche quelle emozionali.
E ciò amplifica la confusione fra il “sentire”, il capire intellettivamente, e la consapevolezza dell’esperire.
Cioè alla dispersione, caratteristica del nostro tempo terreno, corrisponde sempre un accumulo di alimentazione intellettuale o emozionale o perfino spirituale, che affaticano il cuore e inducono nella confusione.
Come un serpente che si mangia la coda, l’affanno della conoscenza bulimico è sia prodotto che produttori di impazienza, caratteristica di un’epoca, che mira al risultato assai prima di aver appreso la tecnica per conseguirlo.
Se, ad esempio, chiedete a qualcuno, anche esperto di musica, di ascoltare una serie di fughe di Bach per più di un’ora, lo vedrete agitarsi preoccupato.
Meglio un motivo breve, semplice; a volte è meglio perfino una lagna folk ripetibile, o una nenia che giunga facilmente alla pancia. Ma una struttura musicale complessa, che richiede pazienza, abbandono, compostezza e attenzione di cuore e di mente vuol dire fermarsi, vuol dire far spazio e silenzio in questo affollato condominio telematico che è diventata la nostra esistenza.
Non sappiamo più accogliere un messaggio armonico di una certa raffinatezza, e disporci all’ascolto, cedendo le nostre difese. Ed è inutile che i pochi musicisti veri rimasti se ne preoccupino cercando di “portare i giovani” alla conoscenza della musica classica.
Tale discorso non riguarda, ovviamente, solo la musica ma l’intera percezione del mondo della manifestazione, che deve essere “rapida” e deve “piacere subito”.
La nostra necessità di “concludere”, la nostra ansietà nel voler arrivare al risultato, introduce dei tappi nelle orecchie assai prima del necessario. Psicologicamente è un infelice coktail fra l’ansia da prestazione e l’ansia da fruizione.
E, per tale ragione, più l’esperienza è rutilante, rumorosa, emozionalmente “forte” ma semplice, più diventa oggetto di desiderio per una fruizione rapida.
Tutto deve essere condotto a “flash”, attraverso eventi che si concludano in poche decine di minuti.
Sarebbe facile confinare questo fenomeno nella difficoltà di concentrazione.
In realtà, dal punto di vista sottile, è proprio l’elemento dispersivo, e perciò ondivago, dell’animo umano, quello che non riesce a contenere l’aspettativa della “fine”, quello che brama il raggiungimento del “risultato”.
E si può anche essere bravi a concentrarsi ma assolutamente incapaci ad aspettare.
Se vogliamo dare a tale analisi una collocazione un po’ più ortodossa e spiritualmente arcaica, potremmo dire che ormai da circa un secolo, si è definitivamente rotto l’orologio delle tre Grazie. Quella che prende, quella che conserva e quella che restituisce, sono passate da una danza armoniosa ad una danza frenetica e ossessiva. Non sono diventate dionisiache (come piacerebbe a Danielou) ma sono semplicemente schizofreniche.
E mi sia concesso che non c’è niente di peggio di tre Grazie schizofreniche per gestire la dinamica dell’universo.
E facendo parte della corte di Venere ne consegue che anche la dea dell’Amore si trovi, attualmente, in una penosa situazione di stress.
Nessuna delle tre Grazie riesce più a capire bene cosa deve fare, e non c’è modo per assorbire il senso profondo delle tre fasi: del prendere (piano) del trattenere (e quindi com-prendere, piano) e del restituire (non gettare furiosamente, ma con calma).
Il famoso “consumismo”, di cui si straparla ogni giorno, è anche questo. Un disturbo schizofrenico della manifestazione dove il ciclo armonioso, anzi, grazioso, è andato a farsi benedire.

Che fare?

Anche se in tanti anni, sia all’interno di questa struttura (Simmetria) che in altre situazioni, abbiamo provato a proporre alcuni metodi per dissipare un po’ di nebbia (parlo dei metodi classici, che ci sono stati insegnati e non di invenzioni personali), nella speranza di vedere all’orizzonte qualche barlume di luce, la oggettiva situazione animica che ci circonda e di cui noi stessi siamo composti, non ci porta verso alcuna forma d’ottimismo.
E, probabilmente, è giusto che sia così, e forse anche il fatto stesso di “protestare” come ora sto facendo, aggiunge dispersione al fiume in piena che tutto sta travolgendo.

Per cui sembra stupido proporre ricette.
C’è talmente tanta gente che propone ricette che un mio grande amico, molti anni fa mi disse:
“Ma quanto manca perché il numero dei maestri superi quello degli allievi?” e, poveretto, non sapeva che, ormai, di allievi ce ne erano rimasti pochissimi. Anzi oggi c’è rimasto solo lui.
Lo sapete che faccio? Vado a cercarlo di corsa, almeno il mio ego schizofrenico potrà credere di poter insegnare qualcosa a qualcuno e soddisfare le smanie consumistiche di Efrosine di Talia e di Aglae che, ormai da tempo, hanno abbandonato la compagnia delle Muse e sono andate a vivere in un supermercato.

P.S. Ma, contrariamente a me, sono fiduciose: aspettano che a Roma, venga terminata la nuvola di Fuksas.
Andranno a chiudersi li, visto che le strutture per gli psicopatici le hanno chiuse da tempo.

di Claudio Lanzi - 16/04/2010