domenica 25 luglio 2021

Oltre natura e cultura

 




OLTRE NATURA E CULTURA

L’autore, Philippe Descola,  ha occupato la cattedra che fu di Claude Levi-Strauss al College de France, è uno dei più influenti antropologi viventi.

Per lui, il nostro naturalismo che postula una radicale differenza tra esseri umani e non umani, permettendo di attribuire una cultura solo agli umani, non è che un modo di definire questa relazione.

Molti sono gli esempi: le culture segnate dall’animismo ritengono che i non umani abbiano un “anima” (nel significato più esteso possibile) simile agli umani ma solo un corpo diverso.

Altre, come ad esempio quella degli aborigeni australiani, ritengono che gli umani e i non umani abbiano corpi e anime simili e quindi che possano ibridarsi.

Altre ancora, come quelle dell’ India o della Cina antica, vedono i diversi esseri disposti lungo una catena gerarchica.

Mentre minacce climatiche e sanitarie rendono chiaro di quanto sia rischioso pensarci come esseri indipendenti dal mondo che abitiamo, è particolarmente benvenuta la riproposizione di questo classico dell’antropologia che qualche anno fa ha cambiato il modo di pensare la relazione tra esseri umani e non umani (animali, vegetali e minerali).

Una lettura molto formativa e sensibilizzante verso “l’altro” quando quest’altro è la Cultura.

venerdì 18 giugno 2021

MINDFULNESS: la meditazione che fa bene al capitale

 

 

La mindfulness, una tecnica di meditazione sviluppata a partire dagli insegnamenti buddisti che consiste nel portare tutta l’attenzione al momento presente, è diventata un fenomeno di massa, con tanto di bollino di approvazione di celebrità come Oprah Winfrey e Goldie Hawn. Preparatori spirituali, monaci e neuroscienzati sono andati fino a Davos per illustrarne i particolari ai capi d’azienda presenti al World Economic Forum. Profetizzando che il suo ibrido di scienza e disciplina meditativa “potrà dare vita a un rinascimento universale o globale”, Jon Kabat- Zinn, l’inventore della Mindfulness based stress reduction (Mbsr), ha ambizioni che vanno al di là della sconfitta dello stress. La mind ful ness, sentenzia, “è forse l’unica speranza per la specie e per il pianeta di sopravvivere nei prossimi due secoli”. In che cosa consiste, allora, questa magica panacea? Nel 2014 la rivista Time ha messo in copertina una giovane donna dai capelli biondi in estasi con sotto il titolo: “The mindful revolution”, la rivoluzione consapevole. L’articolo all’interno descriveva una tipica attività dei corsi standard sulla Mbsr: mangiare un chicco d’uva molto lentamente. “La capacità di concentrarsi per alcuni minuti su un singolo chicco d’uva non è una sciocchezza se l’abilità che richiede è la chiave per sopravvivere e avere successo nel ventunesimo secolo”, spiegava l’autore. Ma come tutto ciò che promette il successo nella nostra società ingiusta senza cercare di cambiarla, la mindfulness non ha niente di rivoluzionario: serve solo ad aiutare le persone a far buon viso a cattivo gioco. Anzi, forse rischia perfino di peggiorare le cose. Invece d’incoraggiare un’azione radicale, la mindfulness vuole convincerci che le cause della nostra sofferenza vanno ricercate soprattutto dentro noi stessi, e non nel contesto politico ed economico che determina il modo in cui viviamo. Eppure i fanatici sostenitori del movimento sono convinti che concentrarsi sul momento presente senza formulare giudizi abbia il potere rivoluzionario di trasformare il mondo intero. È una specie di pensiero magico sotto steroidi. Ci sono certamente elementi lodevoli nella pratica meditativa della mindfulness. Non lasciarsi andare alle masturbazioni mentali aiuta a ridurre lo stress, l’ansia cronica e molte altre patologie. Essere più consapevoli delle nostre reazioni automatiche può farci diventare più calmi e più gentili. I fautori della mindfulness spesso sono brave persone e dopo aver incontrato personalmente molti di loro, compresi i leader del movimento, non ho dubbi che siano animati dalle migliori intenzioni. Ma il problema non è questo. Il problema è il prodotto che vendono e il modo in cui è stato confezionato. La mindfulness è solo una tecnica di concentrazione. Anche se deriva dal buddismo, non ne ha ereditato né gli insegnamenti etici né l’obiettivo di staccarsi da un falso senso di sé attraverso la compassione per tutti gli esseri viventi. Quello che rimane è uno strumento di autodisciplina mascherato da autoaiuto. Invece di liberare le persone, la mindfulness le aiuta ad adattarsi a quelle stesse condizioni che sono alla radice dei loro problemi. Un movimento veramente rivoluzionario cercherebbe di rovesciare questo sistema disfunzionale; la mindfulness, invece, non fa che rafforzarne la logica distruttiva. Negli ultimi decenni l’ordine neoliberista si è imposto quasi furtivamente, alimentando la disuguaglianza attraverso la ricerca del profitto aziendale. Le persone sono state costrette ad adattarsi a ciò che questo modello pretende da loro. Lo stress è stato patologizzato e privatizzato, e l’onere di gestirlo è stato scaricato sul singolo. Ed è qui che intervengono gli imbonitori della mindfulness, pronti a risolvere la situazione. Questo non significa che la mindfulness debba essere proibita o che chiunque la consideri utile sia un povero illuso. Alleviare la sofferenza è un obiettivo nobile che andrebbe incoraggiato. Ma perché questo avvenga, chi insegna la mindfulness dovrebbe innanzi tutto riconoscere che lo stress personale ha anche cause sociali. Evitando di affrontare il problema della sofferenza collettiva – e del cambiamento sistemico che potrebbe rimuoverne le cause – la mindfulness viene spogliata del suo potenziale rivoluzionario, riducendosi a una pratica banale che tiene le persone concentrate su se stesse. Il messaggio fondamentale dei sostenitori della mindfulness è che la radice della nostra insoddisfazione e della nostra angoscia ce l’abbiamo in testa noi. Non concentrandoci su ciò che succede qui e ora, ci perdiamo nei rimpianti per il passato e nella paura del futuro, e questo ci rende infelici. Kabat- Zinn, spesso considerato il padre della mindfulness moderna, parla di una “malattia del pensiero”. Imparare a concentrarsi abbassa il volume del pensiero circolare: la diagnosi di Kabat-Zinn è che “tutta la nostra società soffre di un disturbo da deficit di attenzione”. Di altre fonti di malessere culturale non si parla mai. L’unica volta che compare la parola “capitalista” nel libro di Kabat-Zinn Riprendere i sensi. Guarire se stessi e il mondo attraverso la consapevolezza (Tea 2008) è in un aneddoto su un investitore stressato che dice: “Soffriamo tutti di una specie di disturbo da deficit di attenzione”. I sostenitori della mindfulness, forse inconsapevolmente, lavorano per rafforzare lo status quo. Anziché riflettere su come l’attenzione viene monetizzata e manipolata da aziende come Google, Facebook, Twitter e Apple, individuano la radice della crisi nella nostra mente. Non è la natura del sistema capitalistico a essere intrinsecamente problematica; il problema è l’incapacità dell’individuo di essere consapevole e resiliente in un’economia precaria e incerta. Le soluzioni della mindfulness servono a renderci dei capitalisti più contenti e consapevoli. Praticando la meditazione, dovremmo trovare la nostra libertà individuale in una “pura consapevolezza” che non si lascia distrarre da influenze esterne. Tutto quello che dobbiamo fare è chiudere gli occhi e concentrarci sul nostro respiro. E questo è il punto cruciale della presunta rivoluzione: il mondo lentamente cambia, un individuo consapevole dopo l’altro. È una filosofia politica che ricorda curiosamente il “conservatorismo compassionevole” di George W. Bush. Con il ritiro nella sfera privata, la mindfulness diventa una religione del sé. L’idea di una sfera pubblica viene meno e ogni effetto a cascata della compassione è casuale. Di conseguenza, “il corpo politico non è più un corpo, ma un complesso di imprenditori e consumatori individuali”, osserva la politologa Wendy Brown. La mindfulness, come la psicologia positiva e quella che in senso più ampio potremmo chiamare l’industria della felicità, ha depoliticizzato lo stress. Se non siamo contenti – magari perché siamo disoccupati, perché non abbiamo i soldi per curarci bene o perché i nostri figli sono sommersi dai debiti per pagare l’università – è nostra responsabilità imparare a essere più consapevoli. Kabat-Zinn ci assicura che “la felicità è un lavoro interiore” che ci richiede semplicemente di occuparci del momento presente in modo consapevole senza esprimere giudizi. Un altro dichiarato sostenitore della pratica meditativa, il neuroscienziato Richard Davidson, dice che “il benessere è un’abilità” che può essere allenata, come si allenano i bicipiti in palestra. La cosiddetta rivoluzione della mindfulness accetta docilmente i dettami del mercato. Ispirata da un ethos terapeutico che punta a migliorare la resilienza mentale ed emotiva dell’individuo, la mindfulness sposa la tesi neoliberista secondo cui ognuno è libero di scegliere le proprie risposte, di gestire le emozioni negative e di “fiorire” attraverso varie modalità di cura del sé. Presentando la loro proposta in questi termini, molti insegnanti di mindfulness scartano a priori qualsiasi programma terapeutico che cerchi di identificare criticamente le cause della sofferenza nelle strutture di potere e nei sistemi economici della società capitalista. Il termine “McMindfulness” è stato coniato da Miles Neale, maestro di buddismo e psicoterapeuta, che ha parlato di “una bulimia di pratiche spirituali che danno nutrimento immediato ma nessun sostentamento a lungo termine”. La moda contemporanea della mindfulness è, da un punto di vista imprenditoriale, l’equivalente di McDonald’s. Al fondatore di McDonald’s, Ray Kroc, dobbiamo la nascita dell’industria del fast food. Quando vendeva solo frullati, Kroc aveva intravisto il potenziale di una catena di ristoranti a San Bernardino, in California, e si era accordato con i proprietari, i fratelli McDonald, per diventare il loro agente di franchising. In poco tempo aveva rilevato la proprietà e aveva trasformato la catena in un impero globale. Kabat-Zinn, che praticava assiduamente la meditazione, ebbe una folgorazione durante un ritiro: poteva adattare gli insegnamenti e le pratiche del buddismo per aiutare i pazienti ricoverati in ospedale ad affrontare il dolore fisico, lo stress e l’ansia. Il suo colpo da maestro è stato vendere la mindfulness come una forma di spiritualità laica. Kroc aveva capito che poteva offrire agli statunitensi indaffarati un servizio di ristorazione veloce e uniforme attraverso l’automazione, la standardizzazione e la disciplina. Kabat-Zinn capì che poteva offrire agli americani stressati un sistema per ridurre lo stress con un corso di mindfulness di otto settimane impartito in modo uniforme attraverso un programma standardizzato. Gli insegnanti di mindfulness e Mbsr ottengono la certificazione frequentando i corsi presso il Center for mindfulness di Kabat-Zinn a Worcester, nel Massachusetts. Kabat-Zinn continua ad allargare la sfera di influenza della Mbsr individuando nuovi mercati come aziende, scuole, pubblica amministrazione e forze armate e promuovendo altre forme di interventi basati sulla consapevolezza (mindfulness-based interventions o Mbi). Sia Kroc sia Kabat-Zinn hanno adottato misure che fanno sì che né la qualità né i contenuti dei rispettivi prodotti cambino da un franchising all’altro. Gli hamburger e le patatine di McDonald’s sono gli stessi a Dubai come a Dubuque. Secondo lo stesso principio, ci sono pochissime variazioni nei contenuti, nella struttura e nel programma dei corsi Mbsr nei vari paesi del mondo. La mindfulness è stata venduta ovunque e mercificata, ridotta a una tecnica per qualsiasi scopo pratico o quasi. È usata per far calmare i bambini che vivono in città o per dare un vantaggio mentale ai gestori di hedge funds o per ridurre lo stress dei piloti di droni militari. Tutto questo è successo in parte perché i fautori della mindfulness sono convinti che la loro sia una pratica apolitica. Danno semplicemente per scontato che il comportamento etico deriverà “naturalmente” dalla pratica e dall’affabile gentilezza incarnata dall’insegnante o dall’evento casuale della scoperta di sé. In realtà, l’affermazione secondo la quale dal “prestare attenzione al momento presente, senza giudicare” seguiranno grandi cambiamenti etici è palesemente falsa. L’enfasi sulla “consapevolezza non giudicante” può altrettanto facilmente tradursi nella soppressione della propria intelligenza morale. In Selling spirituality: the silent takeover of religion (Vendere la spiritualità: la conquista silenziosa della religione), Jeremy Carrette e Richard King sostengono che dal settecento in poi le tradizioni della saggezza asiatica sono state oggetto di colonizzazione e mercificazione, sfociando in una spiritualità fortemente individualistica che si è perfettamente adattata ai valori culturali dominanti senza richiedere cambiamenti sostanziali nello stile di vita delle persone. La mindfulness viene così cooptata e ridotta banalmente al “pacificare le sensazioni d’ansia e inquietudine a livello individuale, senza cercare di mettere in discussione le disuguaglianze sociali, politiche ed economiche che provocano le nostre angosce”, scrivono Carrette e King. Ma questa consapevolezza privatizzata è politica: il suo scopo è ottimizzare l’individuo attraverso la terapia per renderlo “mentalmente pronto”, vigile e resiliente, in modo che possa continuare a funzionare all’interno del sistema. Questa capitolazione è lontana da una rivoluzione: somiglia più a una resa silenziosa. La mindfulness si pone come una pratica che può aiutarci ad affrontare le influenze nocive del capitalismo. Ma poiché ciò che offre è facilmente assimilabile dal mercato, il suo potenziale di trasformazione sociale e politica è neutralizzato. I leader del movimento sono convinti che il capitalismo e la spiritualità si possano conciliare; vogliono alleviare lo stress dell’individuo senza indagare sulle sue cause in modo più ampio e profondo. Un movimento davvero rivoluzionario contesterebbe l’idea occidentale che esista un diritto alla felicità indipendente dalla condotta morale. I programmi di mindfulness, però, non chiedono ai manager di riflettere su come le loro decisioni e le loro scelte aziendali hanno istituzionalizzato l’avidità, il risentimento e l’illusione. La meditazione viene venduta ai dirigenti semplicemente come un modo per ridurre lo stress, migliorare la produttività e la concentrazione e recuperare dopo aver lavorato ottanta ore a settimana. Potranno pure meditare, ma è come prendere un’aspirina per il mal di testa: una volta che il dolore passa, è tutto come prima. Magari diventeranno individui più gentili, ma l’obiettivo aziendale di massimizzare i profitti non cambia. Se l’unica funzione della mindfulness è aiutare le persone a gestire le situazioni che le mettono sotto stress, forse potremmo aspirare a qualcosa di più. Dovremmo rallegrarci del fatto che questa perversione aiuta le persone ad “auto-sfruttarsi”? Perché questo è il nocciolo della questione. L’interiorizzazione dell’attenzione predicata dalla mindfulness porta a interiorizzare anche altri fattori, dalle condizioni imposte dalle aziende alle strutture di dominio nella società. Quel che è peggio è che questa posizione di sottomissione viene spacciata per libertà. La mindfulness, in effetti, si nutre di un concetto orwelliano e distopico di libertà, che esalta le libertà egocentriche senza prestare alcuna attenzione alla responsabilità civile o alla coltivazione di una consapevolezza collettiva capace di ricercare la libertà all’interno di una società cooperativa e giusta. Naturalmente, è più facile parlare di ridurre lo stress e aumentare la felicità e il benessere che interrogarsi seriamente sull’ingiustizia, la disuguaglianza e la devastazione dell’ambiente. La seconda scelta comporta una sfida all’ordine sociale, mentre la prima fa leva esattamente sulle priorità della mindfulness: aiutare le persone a concentrarsi, migliorare il loro rendimento sul lavoro e all’università e promettere perfino una vita sessuale migliore. Non solo la mindfulness è stata riconfezionata come una nuova tecnica di psicoterapia: la sua pratica viene sfruttata commercializzandola come una forma di auto aiuto. Si dice che la mindfulness sia un’industria da quattro miliardi di dollari. Più di 60mila libri in vendita su Amazon hanno una variante di mindfulness nel titolo: ci si occupa di genitori consapevoli, cibo consapevole, insegnanti consapevoli, finanza consapevole e padroni di cani consapevoli, solo per citarne alcuni. Oltre ai libri, ci sono workshop, corsi online, riviste patinate, film, documentari, app per smartphone, campanelli, cuscini, braccialetti, prodotti di bellezza e altri accessori, oltre a un redditizio e fiorente circuito di conferenze. I programmi di mindfulness sono entrati nelle scuole, nelle società per azioni di Wall Street e nelle aziende della Silicon valley, negli studi legali e nelle agenzie governative, comprese le forze armate statunitensi. Il fatto che la mindfulness si presenti come un palliativo che strizza l’occhio al mercato spiega la sua calorosa accoglienza nella cultura popolare. Il consenso neoliberista della società moderna dice che chi ha potere e ricchezza dovrebbe essere libero di accumularne ancora di più. Forse non è un caso che i venditori di mindfulness che hanno sposato la logica del mercato facciano furore tra gli amministratori delegati a Davos, dove Kabat-Zinn non ha scrupoli nel predicare il vangelo del vantaggio competitivo che deriva dalla pratica meditativa. Negli ultimi decenni il neoliberismo ha superato le sue radici conservatrici. Ha dirottato il dibattito pubblico a tal punto che perfino sedicenti progressisti come Kabat-Zinn pensano in termini neoliberisti. I valori del mercato hanno invaso ogni recesso della vita umana, definendo il modo in cui la maggior parte della gente è costretta a interpretare la realtà. Forse la definizione più chiara e diretta del neoliberismo è quella del sociologo francese Pierre Bourdieu, che lo descrive come “un programma volto a distruggere le strutture collettive che possono impedire la pura logica di mercato”. Siamo generalmente portati a pensare che una società liberista ci offra ampie (se non uguali) opportunità di aumentare il valore del nostro “capitale umano” e della nostra autostima. E per realizzare pienamente la nostra libertà e il nostro potenziale personale, dobbiamo massimizzare la nostra libertà e la nostra felicità gestendo sapientemente le risorse interne. Poiché la concorrenza è così centrale, secondo l’ideologia neoliberista tutte le decisioni su come è gestita la società dovrebbero essere lasciate al funzionamento del mercato, il meccanismo più efficiente per consentire ai concorrenti di massimizzare il loro benessere. Altri attori sociali come lo stato, le associazioni di volontariato e simili sono solo ostacoli al buon funzionamento della logica di mercato. Per un attore della società neoliberista, la mindfulness è un’abilità da coltivare o una risorsa da utilizzare. Una volta che impariamo a padroneggiarla, ci aiuta a navigare tra le correnti infide dell’oceano capitalista, mantenendo la nostra attenzione “non giudicante e centrata sul presente” per affrontare l’inevitabile stress e l’ansia della concorrenza. La meditazione ci aiuta a massimizzare il nostro benessere personale. Tutto questo magari ci fa dormire meglio la notte, ma le conseguenze per la società sono potenzialmente disastrose. Il filosofo sloveno Slavoj Žižek ha analizzato questa tendenza. A suo avviso, la mindfulness si sta “affermando come l’ideologia egemonica del capitalismo globale”, perché aiuta le persone “a partecipare pienamente alla dinamica capitalista mantenendo l’apparenza della sanità mentale”. Distogliendo l’attenzione dalle strutture sociali e dalle condizioni materiali della cultura capitalista, la mindfu ness può essere facilmente cooptata. Le celebrità le danno la loro benedizione, e le più importanti aziende californiane, tra cui Google, Facebook, Twitter, Apple e Zynga, ne hanno fatto una specie di appendice dei loro marchi. La retorica della “padronan za di sé”, della “resilienza” e della “felicità” presuppone che il benessere sia semplicemente una questione di sviluppo di un’abilità. Dietro il suo impianto terapeutico, la mindfulness presenta subdolamente tutti i problemi come il frutto di scelte. I problemi personali non sono mai ricondotti a condizioni politiche o socioeconomiche, ma sono sempre di natura psicologica e diagnosticati come patologie. La società ha bisogno di terapia, non di un cambiamento radicale. Ecco perché i programmi di mindfulness sono diventati così attraenti per chi governa. Problemi sociali che affondano le loro radici nella disuguaglianza, nel razzismo, nella povertà, nella dipendenza e nel deterioramento della salute mentale possono essere riformulati in termini di psicologia individuale, di richiesta di aiuto terapeutico. Il neoliberismo divide il mondo in vincitori e sconfitti. Funzionale a questa azione è il suo perno ideologico: l’individualizzazione di tutti i fenomeni sociali. Poiché l’individuo autonomo (e libero) è il punto focale della società, il cambiamento sociale non si realizza attraverso la protesta politica, l’organizzazione e l’azione collettiva, ma attraverso il libero mercato e le azioni atomizzate degli individui. Qualsiasi tentativo di cambiare questo stato di cose attraverso strutture collettive è generalmente un fastidio per l’ordine neoliberista. E quindi è scoraggiato. Un esempio illuminante è la pratica del riciclaggio. Qui il problema vero è la produzione in serie di materie plastiche da parte delle aziende e il loro uso eccessivo nel commercio al dettaglio. I consumatori, però, sono indotti a credere che il problema sia lo spreco personale, e che questo problema si possa risolvere cambiando le loro abitudini. Come ha spiegato un recente articolo pubblicato su Scientific American, “pensare di salvare la Terra riciclando la plastica è come pensare di fermare un grattacielo che crolla piantando un chiodo”. La dottrina neoliberista della responsabilità individuale ha fatto il suo gioco di prestigio, distraendoci dal vero colpevole. Non è certo una novità. Negli anni cinquanta, la campagna “Keep America beautiful” invitava i cittadini a raccogliere la spazzatura e il progetto era finanziato da aziende come la CocaCola e la Phillip Morris. Due decenni dopo, in un famoso spot televisivo si vedeva un nativo americano che piangeva alla vista di un automobilista che scaricava immondizia. Lo slogan era “People start pollution. People can stop it” (Le persone provocano l’inquinamento. Le persone possono fermarlo). L’articolo di Matt Wilkins su Scientific American smaschera tutte queste mistificazioni. A prima vista, queste campagne sembrano in buona fede, ma non fanno che oscurare il vero problema, cioè la responsabilità delle aziende che inquinano. Questa diversione ha portato la giornalista e scrittrice Heather Rogers a definire Keep America beautiful la prima iniziativa di green washing (ambientalismo di facciata) aziendale, perché è riuscita a spostare l’attenzione pubblica sul comportamento dei consumatori evitando che si discutesse una legge sulla responsabilità dei produttori nella gestione dei rifiuti. È sempre lo stesso messaggio: l’azione individuale è l’unico vero modo per risolvere i problemi sociali, perciò siamo noi che dobbiamo assumerci la responsabilità. Siamo intrappolati in una trance neoliberista da quella che lo studioso dell’educazione Henry Giroux definisce una “macchina della disimmaginazione”, che soffoca il pensiero critico e radicale. Siamo invitati a guardarci dentro e a gestire noi stessi. La disimmaginazione ci spinge ad abbandonare ogni idea creativa su nuove possibilità. Anziché cercare di smantellare il capitalismo o frenare i suoi eccessi, dobbiamo accettare le sue imposizioni e usare l’autodisciplina per essere più efficaci sul mercato. Ci viene spiegato che per cambiare il mondo dobbiamo lavorare su noi stessi, cambiare il nostro modo di pensare e diventare più consapevoli, senza giudicare e accettando le circostanze. Il principio fondamentale della mindfulness neoliberista, cioè che la fonte dei problemi delle persone si trova nelle loro teste, è accentuato dalla patologizzazione e dalla medicalizzazione dello stress, che impone una cura e un trattamento esperto. Il messaggio è che se non possiamo modificare le circostanze che causano la nostra angoscia, possiamo cambiare le nostre reazioni di fronte alle circostanze. In un certo senso può essere una cosa utile, dal momento che molte dinamiche non sono sotto il nostro controllo. Ma abbandonare tutti gli sforzi di risolverle sembra eccessivo. Le pratiche di mindfulness non ammettono la critica o il dibattito su tutto ciò che può essere ingiusto, culturalmente tossico o dannoso per l’ambiente. L’imperativo consapevole di “accettare le cose come sono” perseguendo la “consapevolezza non giudicante del momento presente” agisce come un’anestesia sociale, preservando lo status quo. La promessa della mindfulness di una “fioritura umana” (che è anche il grido di battaglia della psicologia positiva) è la cosa più vicina a una visione di cambiamento sociale. Si tratta però sempre di una visione individualizzata, che dipende dalla scelta personale di essere più consapevoli. Chi pratica la mindfulness ovviamente può avere idee politiche molto diverse da quelle neoliberiste, ma il rischio è che ognuno cominci a ritirarsi nel proprio mondo privato e nella propria identità particolare, proprio dove vogliono rinchiuderci le strutture di potere neo liberiste. La pratica della mindfulness è parte integrante di quella che Jennifer Silva, che studia la cultura del lavoro degli Stati Uniti, chiama mood economy o “economia dell’umore”. In Coming up short: working class adulthood in an age of uncertainty (Inadeguati: lavoratori adulti in un’epoca di incertezza), Silva spiega che, come la privatizzazione del rischio, l’economia dell’umore rende “l’individuo il solo responsabile del suo destino emotivo”. In questa vera e propria economia politica dell’affetto, le emozioni sono regulate come un mezzo per migliorare il proprio “capitale emotivo”. Nel programma di mind ful ness “Search inside yourself ” di Google, l’intelligenza emotiva ha la massima importanza. Il programma viene venduto agli ingegneri di Google come un passaggio fondamentale per la loro carriera: gestire le proprie emozioni attraverso la pratica della mindfulness genera un plusvalore economico equivalente all’acquisizione di capitale. L’economia dell’umore richiede inoltre la capacità di reagire alle battute d’arresto per rimanere produttivi in un contesto economico precario. Come la psicologia positiva, la mindfulness si è fusa con la “scienza della felicità”. Una volta confezionata in questo modo, può essere venduta come una tecnica per facilitare la produzione, sradicando l’individuo dal mondo sociale. Tutte le promesse della mindfulness richiamano quello che la teorica culturale della University of Chicago Lauren Berlant definisce “ottimismo crudele”, un tratto distintivo del neoliberismo. La crudeltà sta nel fatto che ognuno di noi investe emotivamente in quelle che, in definitiva, sono solo fantasie. Ci viene detto che se pratichiamo la mindfulness e riordiniamo le nostre vite individuali possiamo essere felici e al sicuro. Un’occupazione stabile, una casa di proprietà, la mobilità sociale, il successo professionale e l’uguaglianza ne saranno la naturale conseguenza. Ci viene promesso che raggiungeremo la padronanza di noi stessi, che il controllo della nostra mente e delle nostre emozioni ci permetterà di prosperare tra i capricci del capitalismo. Osserva Joshua Eisen, del dipartimento di antropologia dell’università McGill di Montréal e autore di Mind ful calculation: “Come il cavolo verza, le bacche di açaí, l’iscrizione in palestra, l’acqua vitaminizzata e tutti i buoni propositi per l’anno nuovo, la mindfulness è la spia di un profondo desiderio di cambiamento, che si basa però su una sostanziale riaffermazione delle fantasie neoliberiste dell’autocontrollo e della libera azione”. Dobbiamo solo sederci in silenzio, prestare attenzione al nostro respiro, e aspettare. La crudeltà è doppia perché queste fantasie normative sul “vivere bene” si stanno già sgretolando sotto il peso del neoliberismo, e concentrandoci individualmente sui nostri sentimenti non facciamo che peggiorare la situazione. Trascurando la nostra reciproca vulnerabilità e interdipendenza, disimmaginiamo come difenderci collettivamente. E nonostante la vacuità delle fantasie che alimentiamo, continuiamo ad aggrapparci a loro. La mindfulness non è crudele in sé e per sé. È crudele solo quando è feticizzata e collegata a promesse sproporzionate. È allora, come sottolinea Berlant, che “l’oggetto che attira il nostro attaccamento impedisce attivamente lo scopo che ci ha portato inizialmente a esso”. La crudeltà sta nel sostenere lo status quo mentre si usa il linguaggio della trasformazione. È così che la mindfulness neoliberista promuove una visione individualistica della prosperità umana, persuadendoci ad accettare le cose come sono, sopportando “consapevolmente” le devastazioni del capitalismo. RONALD PURSER insegna gestione d’impresa alla San Francisco state University. Questo articolo è un adattamento dal suo libro McMindfulness: how mindfulness became the new capitalist spirituality (Repeater 2019). È uscito sul Guardian con il titolo The mindfulness conspiracy.


venerdì 21 maggio 2021

L' Arca dei suoni originali





Professore di musica elettroacustica al Conservatorio "Rossini" di Pesaro, David Monacchi è un'utopia vivente e vibrante. Da quasi vent'anni lavora a Fragments of Extinction, un progetto che registra con tecniche tridimensionali innovative – messe a punto da Monacchi stesso – i suoni delle foreste vergini di tutto il mondo. In questi luoghi in cui l'essere umano non ha ancora lasciato traccia, la Natura canta e respira come nella notte dei tempi, probabilmente per l'ultima volta. Queste registrazioni hanno il nome evocativo di "ritratti acustici" e restituiscono, fissandolo nel tempo, il linguaggio sonoro di un pianeta che rotola verso la sesta estinzione. Il meraviglioso progetto di Monacchi è quello di creare un'arca immateriale che custodisce i suoni del mondo naturale, e di costruire un teatro sferico per l'ascolto immersivo, un'arca reale, di speranza, dove accrescere la coscienza ecologica pubblica al fine di salvare quanti più ecosistemi possibili. In questo libro l'autore racconta la sua straordinaria intuizione e l'incredibile parabola di un progetto internazionale partito dall'Italia, che fonde musica, innovazione tecnologica, natura e battaglia ecologica planetaria. È la storia di un guerriero armato solo di microfoni e di una grande anima, di un cacciatore di suoni, di un musicista a mani nude e a orecchie aperte che sta raccogliendo la colonna sonora del mondo primordiale prima che sia zittita dall'incoscienza dell'umanità



mercoledì 19 maggio 2021

La fabbrica del consenso - Noam Chomsky




In un paese democratico l'indipendenza e la libertà di espressione dovrebbero essere le qualità portanti dei giornali e di tutti i media. La realtà è però un'altra: sono le forza politiche ed economiche a decidere quali notizie dovranno raggiungere il pubblico, e in che modo. Noam Chomsky e Edward S. Herman svelano come, grazie alla manipolazione delle notizie, l'opinione pubblica viene spinta a sostenere determinati interessi e punti di vista. "La fabbrica del consenso" offre un'analisi precisa su quanto siano veramente strumentalizzati i media e fornisce la chiave per interpretarne i messaggi.


 

PROPAGANDA - Come manipolare l'opinione pubblica

 


"Propaganda. L'arte di manipolare l'opinione pubblica" è un saggio del 1928 di Edward L. Bernays, 'padre delle pubbliche relazioni' e pioniere dell'arte propagandistica in senso moderno. 

Sebbene il suo nome sia ancora oggi poco noto al grande pubblico, l'opera e le idee di Bernays hanno influenzato profondamente le strategie comunicative e politiche dal secolo scorso e fino ai giorni nostri. 
Divenuto nel corso degli anni un testo culto in cui si teorizza, forse per la prima volta in termini così espliciti, la necessità, per una democrazia sana, di ricorrere a tecniche "scientifiche" per "plasmare" e "inquadrare" l'opinione pubblica: per dar luogo a quella «ingegneria del consenso» di cui Bernays fu pioniere e primo teorico. 

La propaganda come strumento d'elezione per la manipolazione dell'opinione pubblica in democrazia è teorizzata da Bernays come essenziale al buon funzionamento di ogni settore della società: la manipolazione "scientifica" dell'opinione pubblica - «per portare ordine laddove regna il caos» per permettere la piena realizzazione della società democratica, in cui la «minoranza intelligente» riesca a plasmare la maggioranza silente e gregaria in vista di obiettivi e scopi «positivi e costruttivi», tendenti alla pace sociale e al benessere del maggior numero di uomini possibili.

Edward Louis Bernays (Vienna, 22 novembre 1891 – Cambridge, 9 marzo 1995) è stato un pubblicista e pubblicitario statunitense di origine austriaca. Celebre per la sua parentela con Sigmund Freud, Bernays fu uno dei primi spin doctor, ed è considerato, assieme a Ivy Lee e a Walter Lippmann, uno dei padri delle moderne relazioni pubbliche, di cui, già nei primi anni del Novecento, teorizzò le principali regole fondanti.

Combinando le idee di Gustave Le Bon (autore del libro Psicologia delle folle) e Wilfred Trotter (studioso del medesimo argomento) con le teorie sulla psicologia elaborate dallo zio, Bernays fu uno dei primi a commercializzare metodi per utilizzare la psicologia del subconscio al fine di manipolare l’opinione pubblica. A lui si devono le locuzioni “mente collettiva” e “fabbrica del consenso”, concetti importanti nel lavoro pratico della propaganda.

domenica 16 maggio 2021

Il Tiglio

 


Der Linderbaum / IL TIGLIO

Alla fonte, davanti alla porta,
si erge un tiglio;
alla sua ombra
ho sognato qualche dolce sogno.

Sulla sua corteccia
ho inciso qualche tenera parola;
nella gioia e nel dolore
sempre da lui fui attratto.

Anche oggi a notte fonda
gli passai davanti,
e nel buio
ho chiuso gli occhi.

E le sue fronde sussurravano,
sembrava mi chiamassero:
vieni da me, amico,
qui troverai la tua quiete!

I freddi venti
mi soffiavano in volto;
mi strapparono il cappello
ma non mi volsi indietro.

Ora sono lontano da qualche ora
da quel luogo,
e sempre sento sussurrare:
li troveresti la tua quiete.

Wilhelm Muller
Werke, Tagebücher, Briefe, a cura di Maria Verena Leistner, Berlino, 1944
Il testo venne messo in musica da Shubert.

Viene il vento

 




VIENE IL VENTO

Da lontani orizzonti viene il vento
e scrive parole segrete sull'erba:
le rimormorano i fiori
tremando nelle lievi corolle.
Antonia Pozzi
26 gennaio 1935
(da "Echi")

mercoledì 21 aprile 2021

GIORNATA DELLA TERRA – INSOPPORTABILI IPOCRISIE

 



LE COSE ANDRANNO MOLTO MALE, MA FORSE NON TROPPO PRESTO, E FORSE NON PER TUTTI. FORSE NON PER ME.

Da un punto di vista psicologico, questa negazione ha un senso. 
Nonostante il fatto scandaloso che presto morirò per sempre, vivo nel presente, non nel futuro. 
Con una scelta tra un'astrazione allarmante (morte) e la rassicurante evidenza dei miei sensi (colazione!), La mia mente preferisce concentrarsi su quest'ultimo. 
Anche il pianeta è ancora meravigliosamente intatto, ancora sostanzialmente normale - le stagioni cambiano, arriva un altro anno elettorale, nuove commedie su Netflix - e il suo imminente collasso è ancora più difficile da accettare nella mia mente rispetto alla morte.

 APOCALISSI
Altre apocalissi annunciate, religiose, termonucleari o asteroidi, almeno hanno la in se la certezza dell’estinzione: un momento il mondo è lì, il momento successivo è andato per sempre. 
L'apocalisse climatica, al contrario, è disordinata. Prenderà la forma di crisi sempre più gravi che si mescolano caoticamente fino a quando la civiltà non inizierà a logorarsi.
Le cose andranno molto male, ma forse non troppo presto, e forse non per tutti. Forse non per me.
Parte della negazione, tuttavia, è più intenzionale. La posizione del Partito Repubblicano sulla scienza del clima è ben noto, ma la negazione è radicata anche nella politica progressista, o almeno nella sua retorica. 
Il New Deal verde, il progetto di alcune delle proposte più sostanziali presentate sulla questione, è ancora inquadrato come la nostra ultima possibilità di evitare la catastrofe e salvare il pianeta, attraverso giganteschi progetti di energia rinnovabile. Molti dei gruppi che sostengono tali proposte utilizzano il linguaggio per "fermare" il cambiamento climatico o implicano che c'è ancora tempo per prevenirlo. A differenza della destra politica, la sinistra è orgogliosa di ascoltare gli scienziati del clima, che in effetti permettono che la catastrofe sia teoricamente attendibile. Ma non tutti sembrano ascoltare attentamente. Il problema cade sulla parola teoricamente.
La nostra atmosfera e gli oceani possono assorbire solo un tanto di calore prima del cambiamento climatico, intensificato da vari circuiti di retroazione, che gira completamente fuori controllo. Il consenso tra scienziati e responsabili politici è che supereremo questo punto di non ritorno se la temperatura media globale aumenterà di oltre due gradi Celsius (forse un po 'di più, ma forse anche un po' meno). L'I.C.C.C. - il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici - ci dice che, per limitare l'aumento a meno di due gradi, non dobbiamo solo invertire la tendenza degli ultimi tre decenni. Dobbiamo avvicinarci a zero emissioni nette, a livello globale, nei prossimi tre decenni

Questo è, a dir poco, un ordine elevato. Presuppone anche che ti fidi dei calcoli di I.P.C.C. Una nuova ricerca, descritta il mese scorso su Scientific American, dimostra che gli scienziati del clima, lungi dall'esagerare la minaccia dei cambiamenti climatici, hanno sottovalutato il suo ritmo e la sua gravità. Per proiettare l'aumento della temperatura media globale, gli scienziati fanno affidamento su complicate modellazioni atmosferiche. Prendono una miriade di variabili e le esegue attraverso i supercomputer per generare, diciamo, diecimila diverse simulazioni per il prossimo secolo, al fine di fare una "migliore" previsione dell'aumento della temperatura. Quando uno scienziato prevede un aumento di due gradi Celsius, sta semplicemente nominando un numero di cui è molto fiduciosa: l'aumento sarà di almeno due gradi. L'ascesa potrebbe, in effetti, essere molto più elevata.
Come non scienziato, faccio il mio tipo di modellistica. Gestisco vari scenari futuri nel mio cervello, applico i vincoli della psicologia umana e della realtà politica, prendo atto dell'inarrestabile aumento del consumo globale di energia (finora, il risparmio di carbonio fornito dall'energia rinnovabile è stato più che compensato dalla domanda dei consumatori), e contare gli scenari in cui l'azione collettiva calcola la catastrofe. Gli scenari, che traggo dalle prescrizioni di politici e attivisti, condividono alcune condizioni necessarie.
Ma la condizione è che ognuno dei principali paesi inquinanti del mondo istituisca misure draconiane di conservazione, chiuda gran parte delle sue infrastrutture energetiche e di trasporto e riorganizzi completamente la sua economia. Secondo un recente articolo su Nature, le emissioni di carbonio delle infrastrutture globali esistenti, se gestite durante la loro normale vita utile, supereranno la nostra intera "indennità" di emissioni, gli ulteriori gigatoni di carbonio che possono essere rilasciati senza varcare la soglia della catastrofe. (Questa stima non include le migliaia di nuovi progetti energetici e di trasporto già pianificati o in costruzione). Per rimanere all'interno di tale indennità, un intervento dall'alto verso il basso deve avvenire non solo in tutti i paesi ma in tutti i paesi. Rendere New York City un'utopia verde non sarà utile se i texani continuano a pompare petrolio e guidare camioncini.

Le azioni intraprese da questi paesi devono anche essere quelle giuste. Vaste somme di denaro del governo devono essere spese senza sprecarlo e senza foderare le tasche sbagliate. Qui è utile ricordare la barzelletta kafkiana del mandato sui biocarburanti dell'Unione Europea, che è servito ad accelerare la deforestazione dell'Indonesia per le piantagioni di olio di palma, e il sussidio americano al carburante a base di etanolo, che non si è rivelato vantaggioso solo per i coltivatori di mais.

Infine, il numero schiacciante di esseri umani, tra cui milioni di americani che odiano il governo, deve accettare tasse elevate e una severa riduzione dei loro stili di vita familiari senza ribellarsi. Devono accettare la realtà del cambiamento climatico e avere fiducia nelle misure estreme adottate per combatterlo. Non possono respingere le notizie che non gradiscono come false. Devono mettere da parte nazionalismo e risentimenti di classe e razziali. Devono fare sacrifici per lontane nazioni minacciate e lontane generazioni future. Devono essere permanentemente terrorizzati da estati più calde e calamità naturali più frequenti, piuttosto che abituarsi a loro. Ogni giorno, invece di pensare alla colazione, devono pensare alla morte.

martedì 2 marzo 2021

Jiddu Krisnamurti

 




“La vita vi trasporta dove vuole,
poiché voi siete parte di essa.”
(Jiddu Krisnamurti)

“Non so se passeggiando avete mai notato una pozza lunga e stretta accanto al fiume. Deve averla scavata qualche pescatore, e non è collegata con il fiume. Il fiume scorre placido, profondo e ampio, ma quella pozza è coperta di sedimenti perché non è collegata con la vita del fiume, e dentro non ci sono pesci. È una pozza stagnante, e il fiume profondo, pieno di vita e animazione, vi scorre accanto velocemente. Ora, non pensate che gli esseri umani siano così?

Scavano una piccola pozza per se stessi, lontano dalla rapida corrente della vita, e in quella piccola pozza ristagnano e muoiono, e chiamiamo esistenza questo ristagnare e questo deterioramento. Il che significa che noi tutti vogliamo uno stato di permanenza; vogliamo che certi desideri durino per sempre, vogliamo che i piaceri non abbiano mai fine.

Costruiamo un piccolo buco e ci barrichiamo dentro con le nostre famiglie, con le nostre ambizioni, le nostre culture, le nostre paure, i nostri dèi, le nostre varie forme di adorazione, e lì muoriamo, lasciando che la vita trascorra, quella vita impermanente, costantemente cangiante, tanto rapida, con le sue enormi profondità, con la sua straordinaria vitalità e bellezza.

Non avete mai notato che se siete seduti quietamente sulla riva del fiume potete udire il suo canto, lo sciabordìo dell’acqua, il suono incessante della corrente? C’è sempre uno straordinario senso di movimento verso il più ampio e il più profondo. Ma nella piccola pozza non c’è affatto movimento e la sua acqua è stagnante.

E se osservate bene vedrete che questo è ciò che vuole la maggior parte di noi: una piccola pozza stagnante di esistenza lontana dalla vita. Diciamo che la nostra esistenza nella pozza è quella giusta, abbiamo inventato una filosofia per giustificarlo; abbiamo sviluppato teorie sociali, politiche, economiche e religiose in supporto di questo modo di vedere, e non vogliamo essere disturbati perchè ciò che insegniamo è un senso di permanenza. Sapete cosa significa ricercare la permanenza?

Significa volere che ciò che è piacevole continui all’infinito, e volere che ciò che non è piacevole finisca il più presto possibile. Vogliamo che il nome che portiamo sia noto e che continui attraverso la famiglia e la proprietà. Vogliamo un senso di permanenza nelle nostre relazioni, nelle nostre attività, il che significa che stiamo cercando nella pozza stagnante una vita durevole e continua; non vogliamo nessun reale cambiamento, e perciò abbiamo costruito una società che ci garantisce la permanenza della proprietà, del nome, della fama.

Ma vedete, la vita non è affatto così; la vita non è permanenza. Come le foglie che cadono da un albero, tutte le cose sono impermanenti, nulla perdura; c’è sempre cambiamento e morte. Non avete notato com’è bello un albero spoglio che si staglia verso il cielo? Tutti i suoi rami sono ben delineati, e nella sua nudità c’è una poesia, un canto.

Tutte le foglie sono cadute e l’albero attende la primavera. Quando la primavera giunge, riveste di nuovo l’albero con la musica di molte foglie, che nella stagione giusta cadono e vengono soffiate via; questo è il percorso della vita. Ma noi non vogliamo nulla del genere. Ci aggrappiamo ai nostri figli, alle nostre tradizioni, alla nostra società, ai nostri valori e alle nostre piccole virtù, perché vogliamo la permanenza; ed ecco che abbiamo paura di morire.

Abbiamo paura di perdere le cose che conosciamo… noi vogliamo che tutto ciò che ci dà soddisfazione sia permanente; vogliamo che la nostra posizione e l’autorità che abbiamo sulle persone durino. Rifiutiamo di accettare la vita così com’é in realtà. La realtà è che a vita è come un fiume: si muove incessantemente, è sempre in cerca, esplora, sferza e allarga le rive, penetra con la sua acqua in ogni fenditura.

Ma la mente non vuole permettere che questo accada a lei. La mente capisce che è pericoloso rischiare di vivere in uno stato di impermanenza, di insicurezza, perciò si costruisce intorno un muro: il muro della tradizione, della religione organizzata, delle teorie politiche e sociali. La famiglia, il nome, proprietà, le piccole virtù che abbiamo coltivato - tutti questi sono i muri che allontanano la vita.

La vita è movimento, impermanenza e tenta incessantemente di penetrare, di abbattere quei muri dietro ai quali c’è confusione e infelicità. Gli dèi che stanno nei muri sono tutti falsi dèi, e le loro scritture e filosofie non hanno significato, perché la vita è al di là di essi. Ora, una mente priva di muri, non gravata da ciò che ha acquisito e accumulato, né dalla propria conoscenza, una mente che vive senza tempo e senza sicurezza: per una simile mente la vita è una cosa straordinaria.

Una simile mente è vita in se stessa, perché la vita non ha luoghi di riposo. Ma la maggior parte di noi vuole un posto per riposarsi; vogliamo una casetta, un nome, una posizione, e diciamo che queste cose sono molto importanti. Chiediamo permanenza e creiamo una cultura basata su questa richiesta, inventiamo degli dèi che non sono affatto dèi, ma nient’altro che una proiezione dei nostri desideri. Una mente che ricerca la permanenza presto inizia a ristagnare; proprio come quella pozza lungo il fiume, si riempie subito di materia corrotta e guasta.

Soltanto la mente non racchiusa da muri, priva di appigli, barriere, luoghi di riposo, che si muove all’unisono con la vita, che procede senza tempo, che esplora, demistifica - solo una simile mente può essere felice, eternamente rinnovata, perché è in se stessa creativa. Capite di cosa sto parlando? Dovreste capirlo perché tutto questo fa parte della vera educazione e quando lo capirete la vostra vita sarà trasformata: la vostra relazione con il mondo, con i vostri vicini, con vostra moglie e vostro marito avranno un significato totalmente differente…

Se lo capirete avrete iniziato a comprendere la straordinaria verità di cosa sia la vita, e in quella comprensione ci sono grande bellezza e amore, e il fiorire del bene. Ma gli sforzi di una mente che cerca una pozza di sicurezza e di permanenza possono solo condurre all’oscurità e al deterioramento. Una volta installatasi nella sua pozza, una simile mente ha paura di avventurarsi fuori, di cercare, di esplorare; ma la verità, Dio, la realtà o quello che volete voi giacciono oltre la pozza…

Ma potete far questo solo quando lasciate la pozza che vi siete scavati e uscite nel fiume della vita. Allora la vita ha un modo stupefacente di prendersi cura di voi, perché a quel punto da parte vostra non c’è più bisogno di curarsi di nulla. La vita vi trasporta dove vuole, poiché voi siete parte di essa, allora non c’è più alcun problema di sicurezza, di ciò che la gente dice o non dice, e questa è la bellezza della vita.” (Jiddu Krisnamurti, La ricerca della felicità, Oscar Mondadori)

Cosi va il mondo - N. Chomsky

 




IL GOLPE SILENZIOSO
Da “Cosi va il mondo”
Di Noam Chomsky

Un senato virtuale incombe sul mondo. Nessun popolo lo ha eletto, non vi è stata alcuna votazione democratica in alcun parlamento.
Si tratta unicamente di un consesso di oligarchi che si sono autonominati in base al censo ed alla classe sociale. E' composto da membri privilegiati dell'elite affaristico - finanziaria americana ed occidentale, e nella propria “costituzione” contempla solo due articoli.
Il primo dice - La nostra società è fondata sul profitto.
E il secondo - Tutti gli uomini sono eguali, ma i ricchi sono più eguali degli altri.
Per Noam Chomsky, uno dei più imminenti intellettuali viventi del nostro secolo, è su questi due semplici assiomi che si regge il neoliberismo economico che, in nome della globalizzazione dei mercati, aspira a trasformare il mondo in una immensa “fabbrica di profitti”, a beneficio di una ristretta cerchia di eletti.
Un invisibile golpe si stà perpetrando nei confronti dell'umanità tutta e non ci voglio occhiali magici per svelare il crescente divario economico tra Nord e Sud del mondo, l'impoverimento di larghi strati delle popolazioni nei paesi ricchi, in quelli poveri già lo sono, la minaccia ecologica .
Non ci vuole molto per rendersi conto degli inganni e le menzogne perpetrati quotidianamente dai media , dai grandi conglomerati finanziari, da governi apparentemente democratici ma in realtà dominati dalle politiche economiche delle classi privilegiate e delle corporation.
Chomsky analizza, con implacabile lucidità il corpo agonizzante della democrazia, straziata in modo intenzionale dai baroni di Wall Street e della comunità affaristica internazionale. E così ci rivela nella sua impietosa diagnosi, che i grandi nemici della libertà non si sono estinti con la scomparsa di uno dei più froci totalitarismi della storia , quel socialismo reale ormai agonizzante, crollato con il muro di Berlino, ma sono da ricercare oggi in una degenerazione del capitalismo americano ed occidentale.
Questo processo ha avuto inizio con la fine della seconda guerra mondiale e, attraverso un lento e subdolo meccanismo di erosione del sistema democratico domestico o l'uso della violenza politica e del terrore in stati come il Cile o il Nicaragua ha infine generato una sorta di serial killer della società civile che ha trionfato con la deregulation di Ronald Reagan e nelle riforme neo-liberiste di Margaret Thatcher in Inghilterra.
Il “j accuse” esposto nel testo “Cosi va il mondo”, prende le mosse dal vero e proprio colpo di stato sotterraneo che le corporazioni starebbero perpetrando a danno della democrazia in Occidente, estromettendo il popolo dalla vita politica. Un popolo che ormai viene chiamato a ratificare, attraverso quello che si è ridotto ad un rito formale- le elezioni - decisioni già prese e comunque separate dalle politiche economiche, che si muovono su binari diversi dalla politica vera e propria. In tal senso risulta determinante il ruolo giocato dalla “fabbrica del consenso”, ovvero i mass media che sono tuttavia grandi aziende e non può quindi stupire che l' immagine del mondo che esse presentano rifletta gli interessi e i valori dei proprietari e degli investitori.
L'obiettivo di questo sistema appare chiaro; attraverso la tanto acclamata interattività dei nuovi mezzi di comunicazione, comprese le nuove “autostrade informatiche”, bisogna garantire alla gente l'illusione di avere una parte nei progressi decisionali della società, mentre in realtà si mira a creare una massa di docili e disciplinati consumatori, di spettatori della politica, relegati in un ruolo sempre più passivo. Il risultato secondo Chomsky è perfettamente uniforme e i media sono solo uno degli elementi del più vasto sistema dottrinale e propagandistico destinato a forgiare l’opinione pubblica.

lunedì 1 marzo 2021

Realtà


IL MONDO COME LO PERCEPIAMO NON E' REALE
di Donald Hoffman.

Donald D. Hoffman, professore di scienze cognitive presso la UC Irvine (Università della California Irivine). Hoffman ha speso gli ultimi trent’anni a studiare le percezioni, l’intelligenza artificiale, la teoria dei giochi evolutivi ed il cervello, e la sua conclusione è piuttosto netta: il mondo che ci presentano le nostre percezioni non ha nulla di reale. Inoltre, aggiunge, dobbiamo ringraziare proprio l’evoluzione per questa grandiosa illusione, perché ha massimizzato le nostre capacità di sopravvivenza proprio nascondendoci la “verità”.
Porsi domande sulla natura della realtà e sganciando l’osservatore dall’oggetto osservato è uno sforzo a cavallo sui confini tra neuroscienze e fisica di base. Da un lato troverai dei ricercatori che si arrovellano cercando di capire come un grumo di materia grigia di tre chili che obbedisce solo alle ordinarie leggi della fisica possa produrre una esperienza consapevole in prima persona. Questo è il cosiddetto “problema grezzo”. Dall’altro lato abbiamo fisici quantistici, che si scervellano sul fatto che i sistemi quantici non sembrano essere oggetti definiti nello spazio finché non li si osserva. Esperimento dopo esperimento è stato dimostrato – contro ogni senso comune – che ritenere che le particelle abbiano una loro sostanza oggettiva ed una esistenza indipendente da chi le osserva conduce a risposte sbagliate. La lezione fondamentale della fisica quantistica è chiara: non ci sono oggetti che esistano in uno stato preesistente. Come lo spiega il fisico John Wheeler: “per quanto risulti funzionale in circostanze ordinarie affermare che il mondo esista là fuori indipendentemente da noi, questo punto di vista non può più venire sostenuto.”
Dunque, mentre i neuroscienziati lottano per comprendere come possa funzionare una realtà in prima persona i fisici quantistici devono misurarsi col mistero di come possa esserci qualsiasi altra cosa tranne una realtà in prima persona. In breve, tutte le strade riportano all’osservatore. Ed è qui che troviamo Hoffman, a cavallo delle diverse discipline, che azzarda un modello matematico dell’osservatore, cercando di raggiungere la realtà dietro l’illusione. Quanta Magazine lo ha incontrato per capirci di più.

Gefter: Le persone usano spesso la teoria Darwinista dell’evoluzione a sostengo dell’accuratezza delle nostre percezioni nel descrivere la realtà. Dicono: “ovviamente dobbiamo avere un quadro accurato della realtà altrimenti ci saremo estinti molto tempo fa. Se penso di stare guardando una palma quel che è una tigre, sono nei guai.”

Hoffman: Giusto. Il classico argomento che tra i nostri antenati quelli che avevano percezioni più accurate debbono avere avuto vantaggi competitivi e dunque aver passato i loro geni con maggiore frequenza di coloro che avevano percezioni meno accurate. Così, dopo migliaia di generazioni, ci sentiamo sicuri di essere gli eredi di coloro che avevano percezioni più accurate e affidabili della realtà. Suona plausibile, ma ritengo sia fondamentalmente falso. Questo ragionamento fraintende un elemento fondamentale riguardo all’evoluzione, e cioè che riguarda l’essere idonei: possedere funzioni matematiche in grado di produrre una strategia che assicuri sopravvivenza e riproduzione. Il matematico fisico Chetan Prakash ha provato un teorema che ho ideato io: stando all’evoluzione per selezione naturale, un organismo in grado di vedere tutta la realtà com’è non sarà mai più idoneo di un organismo di eguale complessità che non vede nulla della realtà tranne ciò che gli occorra per essere idoneo. Mai.

Gefter: Hai fatto simulazioni al computer per dimostrarlo. Puoi farci un esempio.

Hoffman: Diciamo che abbiamo una risorsa reale, come l’acqua, e tu puoi misurare quanta sia in un ordine oggettivo: molto poca, una quantità media, un sacco di acqua. Ora supponiamo che la tua funzione di idoneità sia lineare, e dunque poca acqua offre poca idoneità a sopravvivere, media acqua una idoneità media, molta acqua una grande idoneità. In questo caso, l’organismo che può vedere la realtà esattamente come è sarà in vantaggio, ma soltanto perché la funzione di idoneità appare allineata con la struttura presente nella realtà. Statisticamente, nel mondo reale, questo non accade mai. La norma è invece una curva a campana, ad esempio: poca acqua, muori di sete, troppa acqua, affoghi. E soltanto da qualche parte nel mezzo c’è la quantità giusta per sopravvivere. Dunque la funzione di idoneità non corrisponde alla struttura del mondo reale. E questo basta a spedire la verità verso l’estinzione. Facciamo un esempio: un organismo che evolve in modo da vedere quantità piccole o grandi di una risorsa, diciamo, come macchie rosse e indesiderabili, mentre vede quantità intermedie di risorse come macchie verdi e desiderabili. Ecco che le sue percezioni saranno idonee ad assicurargli la sopravvivenza, ma non a descrivere la verità. Non vedrà differenza tra poca o tanta, vedrà solo del rosso, anche se questa distinzione esiste nella realtà.

Gefter: E come può essere utile alla sopravvivenza di un organismo vedere una falsa realtà?

Hoffman: C’è una metafora a noi accessibile solo da una quarantina d’anni, ed è l’interfaccia del desktop. Diciamo che vedete una icona rettangolare di colore blu nell’angolo in basso a destra del vostro monitor: questo significa forse che quel file è di colore blu, è rettangolare e si trova nell’angolo in basso a destra del vostro computer? Naturalmente no. Ma queste sono le sole cose che possiamo affermare a proposito di qualsiasi icona sul desktop: il colore, la forma e la posizione. Queste sono le sole categorie a noi accessibili, eppure nessuna di esse afferma qualcosa di vero riguardo al file o qualsiasi altra cosa nel computer. Non possono proprio essere vere. E questo è interessante: non potreste dare una descrizione veritiera di cosa vi sia all’interno del computer basandovi su quello che vedete sul desktop. Nondimeno, il desktop è necessario. L’icona blu guida il mio comportamento e mi nasconde una realtà più complessa di cui non mi è necessario sapere nulla. Questa è l’idea di base: l’evoluzione ci ha forniti di percezioni adeguate a farci sopravvivere. Esse definiscono la nostra capacità di adattamento. Ma una parte del loro compito è nasconderci tutte le cose che non ci occorre sapere. E questa parte è la maggior parte della realtà, qualsiasi cosa la realtà poi in effetti sia. Se dovessimo passare tutto il tempo a cercare di comprenderla, nel frattempo la tigre ci avrebbe mangiato.

Gefter: Quindi tutto ciò che osserviamo è una grande illusione?

Hoffman: Ci siamo evoluti ad avere percezioni che ci mantengano vivi, quindi dobbiamo prenderle sul serio. Se vedo qualcosa che penso essere un serpente, non lo raccoglierò. Se vedo un treno in arrivo, non ci camminerò davanti. Abbiamo evoluto questi simboli per restare vivi, per cui occorre prenderli sul serio. Ma è un errore logico pensare che, se devo prenderli sul serio, devo anche prenderli alla lettera.

Gefter: Se i serpenti non sono serpenti e i treni non sono treni, che cosa sono?

Hoffman: Serpenti e treni, come ogni particella fisica, non hanno una sostanza oggettiva e indipendente da chi li osserva. Il serpente che vedo è una descrizione creata dal mio sistema sensoriale per darmi informazioni sulla idoneità di un dato comportamento. L’evoluzione ha disegnato soluzioni accettabili, non ottimali. Un serpente è una soluzione accettabile per dirmi come agire in una data situazione. I miei serpenti e i miei treni sono altrettante mie rappresentazioni mentali, i tuoi serpenti e i tuoi treni sono tue rappresentazioni mentali.
Gefter: Come hai approcciato queste possibilità?

Hoffman: Da adolescente ero molto interessato alla domanda: siamo delle macchine? Le mie letture scientifiche suggerivano di sì. Mio padre però era un ministro di culto e in chiesa dicevano che non lo eravamo. Quindi ho concluso che avrei dovuto farmi una opinione tutta mia. È una faccenda piuttosto importante a livello personale, se sono una macchina, mi piacerebbe proprio saperlo. E se non lo sono, vorrei sapere, che cos’ho di speciale più di una macchina? E questo mi portò negli anni ’80 al laboratorio sull’intelligenza artificiale presso il MIT a lavorare sulle forme percettive delle macchine. L’ambito della ricerca sulla vista era in piena espansione nello sviluppo di modelli matematici per ottimizzare specifiche abilità visive. Notai che sembravano condividere una struttura matematica comune, così pensai fosse possibile scrivere una struttura formale accomunasse tutti i possibili modelli di osservazione. Ero ispirato in parte da Alan Turing. Quando ha inventato la Turing Machine stava cercando di ottenere una nozione di computistica, e invece di complicarla troppo decise di trovare il più semplice modello descrittivo matematico che potesse funzionare. Quel semplice modello formale divenne il fondamento della scienze delle computistica. Quindi mi domandai, potrei trovare qualcosa di altrettanto semplice e fondamentale per la scienza dell’osservazione?

Gefter: Un modello matematico della coscienza.

Hoffman: Precisamente. La mia intuizione era: abbiamo esperienze consce. Percepisco dolore, gusti, odori, tutte le mie esperienze sensoriali, emozioni, stati d’animo e così via. Quindi voglio provare a dire: una parte di questa struttura di coscienza costituisce un modello di base di ogni possibile esperienza. Quando sto vivendo una esperienza, in base a tale esperienza posso desiderare di cambiare ciò che sto facendo. Dunque debbo avere un archivio di azioni possibili da intraprendere e una strategia decisionale che in base a ciò che sperimento mi permetta di modificare le mie azioni. Questa è l’idea alla base di tutto. Possiedo uno spazio X di esperienze, uno spazio G di azioni e un algoritmo D che mi permette di scegliere azioni in base alle esperienze. Poi ho aggiunto una W per rappresentare il mondo, che è uno spazio probabilistico. In qualche modo il mondo influenza le mie percezioni, quindi c’è una mappa percettiva che chiamo P costruita dal mondo delle mie esperienze, e quando agisco io modifico il mondo, quindi c’è una mappa A costituita dalle azioni verso il mondo. Questa è l’intera struttura. Sei elementi. Ho affermato: questa è la struttura della coscienza. E l’ho esposta perché chi vuole possa farci i conti.

Gefter: Ma se c’è un W stai affermando che esiste effettivamente un mondo esterno?

Hoffman: Questo è un punto molto suggestivo. Potrei togliere la W dal modello e metterci un agente conscio al suo posto, ottenendo un circuito di agenti coscienti. Infatti, puoi avere intere reti di complessità arbitraria. E questo è il mondo.

Gefter: Il mondo è solo un altro agente conscio?

Hoffman: Lo definisco “realismo conscio”. La realtà oggettiva come agenti consci, solo punti di vista. Considera che posso prendere due agenti consci e lasciarli interagire, e la struttura matematica di questa interazione continuerà a soddisfare la definizione di agente conscio. Questa matematica ci dice qualcosa. Posso prendere due menti e loro genereranno una nuova, singola mente unificata. Ecco un esempio concreto: abbiamo due emisferi nel nostro cervello. Ma se facciamo una operazione chirurgica separandole, una completa transectomia del corpo calloso, otteniamo evidenze palesi di due coscienze separate. Prima della separazione avevamo un solo, unificato agente conscio. Dunque non è affatto impossibile che esista un solo agente conscio. Così come nel caso ci siano due agenti consci e te ne accorgi soltanto quando vengono separati. Io non mi aspettavo questo, la matematica mi ha condotto a riconoscerlo. Suggerisce che io possa prendere osservatori separati, metterli insieme e ottenere un uovo osservatore, e posso procedere a farlo all’infinito. Sono agenti consci lungo tutta la strada.

Gefter: Se abbiamo sempre e soltanto agenti consci, ciascuno con punti di vista individuali, che succede alla scienza? La scienza ha sempre azzardato una descrizione del mondo in terza persona.

Hoffman: L’idea che la scienza misuri degli oggetti che esistono per i fatti loro; l’idea che l’oggettività risulti dal fatto che sia io che te possiamo misurare lo stesso oggetto nella stessa situazione ottenendo lo stesso risultato: ebbene, oggi la meccanica quantistica dimostra chiaramente che questa specifica idea debba venire abbandonata. I fisici ci dicono che non esistono oggetti fisici pubblici. Dunque, che sta succedendo? Ecco come la vedo io: posso parlare del mio mal di testa e ritenere di stare comunicando in modo efficace con te perché anche tu hai avuto mal di testa. La stessa cosa è vera a proposito di mele, della luna, del sole e dell’universo. Esattamente come hai il tuo mal di testa, hai la tua luna. Assumo anche che sia molto simile alla mia, e questa assunzione potrebbe essere falsa, ma è alla base della mia possibilità di comunicare, e questo è il massimo che possiamo fare in materia di oggetti fisici condivisi e scienza oggettiva.

Gefter: Non molte persone nell’ambito delle neuroscienze o della filosofia o dello studio della mente sembrano pensare molto alla fisica di base. Pensi che sia stato un ostacolo per coloro che tentano di comprendere la consapevolezza?

Hoffman: Penso lo sia stato. Non solo stanno ignorando i progressi in fisica di base, sono anche spesso espliciti nell’affermarlo. Dicono apertamente che la fisica quantistica non sia rilevante riguardo alle funzioni del cervello casualmente coinvolto nei processi di consapevolezza. Sono certi che debbano esserci classiche funzioni di attività neurale che esistano in modo indipendente da qualsiasi osservatore, spiking rates, connection strengths at synapses (NdT non ho trovato una traduzione medica specifica, sono evidentemente funzioni cerebrali), forse persino proprietà dinamiche. Sono tutte nozioni tradizionali della fisica Newtoniana, dove il tempo è un valore assoluto e gli oggetti esistono in termini assoluti. E poi si stupiscono di non fare alcun progresso. Si negano gli incredibili spunti offerti dai progressi della fisica. Questi risultati sono lì per essere usati, eppure continuano a dire “restiamo fermi a newton, grazie, restiamo 300 anni indietro nella nostra fisica.”

Gefter: Io sospetto che reagiscano a modelli come quelli di Roger Penrose e Stuart Hameroff, dove si considera il cervello ancora da un punto di vista fisico, ancora ancorato nello spazio, anche ipoteticamente utilizza una qualche capacità quantica. Quel che stai affermando tu invece è “guardate, la meccanica quantistica ci dice che dobbiamo mettere in discussione qualsiasi nozione di oggetti fisici ancorati nello spazio”

Hoffman: È esattamente quello che penso. I neuroscienziati affermano “non ci serve evocare processi quantici, non ci servono funzioni ad onda quantica che collassano nei neuroni, possiamo usare la fisica classica per descrivere i processi cerebrali.” Io sottolineo la più grande lezione della fisica quantistica: neuroni, cervelli, spazio, tutti questi sono solo simboli che utilizziamo, non sono reali. Non è che ci sia un cervello classico che attua una qualche magia quantica: è che non c’è alcun cervello! La meccanica quantistica afferma che gli oggetti classici, inclusi i cervelli, semplicemente non esistono. Per cui, le mie affermazioni sulla natura della realtà sono assai più radicali e non riguardano una qualche attività quantica esercitata dal cervello. Anche Penrose non è andato fino in fondo. La maggior parte di noi, del resto, nasce realista. Siamo nati credendo negli oggetti fisici, è un retaggio molto, molto difficile da superare.

Gefter: Tornando alla tua domanda da adolescente: siamo delle macchine?

Hoffman: La teoria formale degli agenti consci che ho sviluppato è universale a livello di computazione – in questo senso, è una teoria di tipo meccanico. E posso trarne reti neurali e di scienza cognitiva proprio perché è una teoria computazionalmente universale. Non di meno, non ritengo ad oggi che siamo delle macchine, in parte perché distinguo tra una rappresentazione matematica e ciò che viene rappresentato. Come realista cosciente, postulo esperienze coscienti come primitive ontologiche, gli ingredienti di base di tutto il mondo. Affermo che le esperienze sono la reale moneta del reame. Le esperienze quotidiane, il mio reale mal di testa, il mio reale gusto del cioccolato, questa è la natura fondamentale della realtà.

Simone Weil - MANIFESTO PER LA SOPPRESSIONE DEI PARTITI POLITICI

 


1 - Un partito politico è una macchina per fabbricare passione collettiva.

2 - Un partito politico è un’organizzazione costruita in modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli esseri umani che ne fanno parte.

3 - L’unico fine di qualunque partito politico è la sua propria crescita, e questo senza alcun limite.

Per via di queste tre caratteristica, ogni partito è totalitario in embrione e nelle aspirazioni.
Se non lo è nei fatti, questo accade solo perché quelli che lo circondano non lo sono di meno.
Queste tre caratteristiche sono verità di fatto, evidenti a chiunque si sia avvicinato alla vita dei partiti.
La condizione necessaria e sufficiente perché il partito serva efficacemente la concezione del bene pubblico, in vista del quale esiste, è che possieda una grande quantità di potere.
Ma in realtà nessuna quantità finita di potere potrà mai essere considerata come sufficiente, soprattutto una volta che la si sia ottenuta.
Così la tendenza essenziale dei partiti è totalitaria, non solo relativamente a una nazione, ma relativamente al globo terrestre.
Il temperamento rivoluzionario porta a concepire la totalità. Il temperamento piccolo borghese porta a convivere con l’immagine di un progresso lento, continuo e illimitato. Ma nei due casi la crescita materiale del partito diviene l’unico criterio rispetto al quale si definiscono in ogni cosa il bene e il male. Esattamente come se il partito fosse un animale all’ingrasso, e l’Universo fosse stato creato per farlo ingrassare.
la propaganda è sempre un tentativo di asservimento dello spirito. Tutti i partiti fanno propaganda. Chi non ne facesse scomparirebbe, in virtù del fatto che gli altri ne fanno.
Immaginiamo il membro di un partito - deputato, candidato al Parlamento o semplicemente militante - che prenda in pubblico il seguente impegno: «Ogniqualvolta esaminerò un qualunque problema politico o sociale, mi impegno a scordare completamente il fatto che sono membro del mio gruppo di appartenenza, e a preoccuparmi esclusivamente di discernere il bene pubblico e la giustizia».
Questo linguaggio sarebbe accolto in modo negativo. I suoi, e anche molti altri, lo accuserebbero di tradimento. I meno ostili direbbero: «Perché, allora, ha aderito a un partito?», ammettendo così ingenuamente che entrando in un partito si rinuncia a cercare unicamente il bene pubblico e la giustizia. Quell’uomo sarebbe escluso dal suo partito, o per lo meno ne perderebbe l’investitura, non sarebbe certamente eletto.
Se un uomo, membro di un partito, è risolutamente deciso ad essere fedele in ogni suo pensiero unicamente alla luce interiore e a null’altro, non può far conoscere questa risoluzione al suo partito. E allora, di fronte a esso, in stato di menzogna.

Spillover

 




LO SPILLOVER E’ IL SALTO DI SPECIE DEGLI AGENTI PATOGENI DAGLI ANIMALI ALL’UOMO.

Questo libro è stato scritto nel 2012 ed è ancora oggi la lettura di riferimento per chi – non specialista – cerchi di capire cosa sta succedendo all’umanità. È un racconto apocalittico costato a David Quammen dodici anni di ricerche per essere certo di poter raccontare con esattezza e dovizia di particolari che cosa è lo “spillover”, il salto di specie degli agenti patogeni dagli animali all’uomo.
Quammen racconta di Ebola, Sars, Coronavirus e peste bubbonica. In questo libro potente e sconcertante, Quammen cita un vocabolo a cui pare dovremo abituarci nei prossimi decenni: zoonosi. Ne fanno parte anche AIDS (30 milioni di morti), tubercolosi bovina, la febbre del Nilo occidentale, il virus di Marburg, la Rabbia, l’Hantavirus sindrome polmonare, l’Antrace, la febbre della Rift Valley, la larva migrans oculare, la febbre emorragica boliviana, malattia della foresta di Kyasanur e una strana afflizione chiamata Encefalite di Nipah, che ha ucciso maiali e allevatori di maiali in Malesia.

In Spillovver era già previsto: a) che si sarebbe verificata una pandemia causata da un virus capace di evolvere e adattarsi rapidamente; b) che il virus sarebbe stato trasmesso da un animale, verosimilmente un pipistrello; c) in una situazione in cui gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici vivi; d) in un luogo come la Cina. Quammen però non è solo un divulgatore scientifico: Spillover appartiene a tutti gli effetti al nature writing, genere a metà tra l’esplorazione naturalistica e l’indagine letteraria. Quammen è uno scrittore potente e Spillover fa paura.