Evgeny Morozov
è un sociologo e giornalista bielorusso, esperto di nuovi media, interessato allo studio degli effetti dispiegati sulla società, e sulla pratica della politica, dallo sviluppo della tecnologia e, in particolare, dalla crescente diffusione e disponibilità di mezzi di comunicazione telematica
La democrazia sta annegando in
un mare di notizie false. Questa è la rassicurante conclusione a cui sono
arrivati tutti quelli che nel 2016 hanno perso nelle consultazioni popolari,
dalla Brexit alle presidenziali statunitensi al referendum in Italia. Per queste
persone il problema non è che il Titanic del capitalismo democratico stia
navigando in acque pericolose, ma che ci siano troppe notizie false sulla
presenza di iceberg all’orizzonte. Da qui nascono tutte le soluzioni sbagliate:
vietare i memi su internet, creare commissioni di esperti per controllare la
veridicità delle notizie, multare i social network che diffondono falsità.
La crisi delle notizie false
segnerà il collasso della democrazia o è solo la conseguenza di un malessere
più profondo e strutturale? E’ evidente che esiste una crisi, ma una democrazia
matura dovrebbe chiedersi se al centro di questa crisi ci sono davvero le
notizie false o qualcosa di molto diverso. Le nostre élite, purtroppo, non
hanno intenzione di farlo. La loro narrazione sulle notizie false è essa stessa
falsa. E’ una spiegazione superficiale di un problema strutturale di cui
rifiutano di ammettere l’esistenza. Il fatto che l’establishment abbia
scelto di concentrarsi sulle notizie false dimostra fino a che punto la sua visione
del mondo sia ottusa.
La vera minaccia non è
l’emergere della democrazia illiberale, ma la persistenza di una democrazia
immatura. Questa immaturità si manifesta in due negazioni: la negazione delle
origini economiche dei problemi attuali e la negazione della profonda
corruzione delle competenze professionali. Il primo rifiuto emerge chiaramente
quando fenomeni come Donald Trump vengono collegati a fattori culturali come il
razzismo o l’ignoranza degli elettori. Il secondo consiste nel negare che l’enorme
insoddisfazione delle presone nei confronti delle istituzioni nasca dalla piena
consapevolezza del modo in cui operano, e non dall’ignoranza.
Il panico sulle notizie false
illustra alla perfezione queste due negazioni. Il rifiuto di riconoscere che la
crisi delle notizie false ha un’origine economica fa sì che nella vicenda delle
presunte influenze di hacker russi sulle lezioni statunitensi il capro
espiatoria sia il Cremlino e non l’insostenibile modello economico del
capitalismo digitale. Ma nessuna interferenza esterna potrebbe mai produrre
notizie virali su questa scala. I movimenti di svitati che vivono sulle notizie
false ci sono sempre stati, solo che in passato mancava un’infrastruttura
digitale capace di rendere virali le teorie più assurde. Il problema non sono
le notizie false, ma la velocità con cui si diffondono. Questo problema esiste
perché il capitalismo digitale rende estremamente proficua la produzione e la
circolazione di notizie false ma invitanti. Basti pensare a Google e Facebook.
Per inquadrare la crisi delle
notizie false in questo modo, però, bisognerebbe superare le due negazioni
fondamentali. Ma chi vorrebbe mai riconoscere che negli ultimi trent’anni sono
stati i partiti politici e di centrosinistra e centrodestra a sostenere i geni
della Silicon Valley, a privatizzare le telecomunicazioni e trascurare le leggi
antitrust?
Il secondo tipo di negazione
ignora la crisi dell’attuale modello di conoscenza basato sulla
specializzazione. Quando i centri studi accettano di buon grado finanziamenti
da governi stranieri, le aziende energetiche finanziano ricerche che negano il
cambiamento climatico e i commissari europei lasciano il loro posto a Bruxelles
per andare a lavorare a Wall Street, non possiamo certo criticare i cittadini
che non si fidano degli “esperti”.
Ancora peggio è quando a
parlare di notizie false sono i mezzi di informazione che, pressati dalla
crisi, sono i primi a diffonderle. Basta pensare al Washington Posta, no dei
pochi giornali che oggi sostiene di essere in attivo. Dopo aver accusato vari
siti d’informazione di diffondere la propaganda russa, di recente il Post ha
dato la notizia di un attacco informatico russo contro una centrale elettrica
statunitense. A quanto pare questo attacco non c’è mai stato, e il giornale non
ha nemmeno contattato il gestore della centrale per verificare la
notizia. Nell’economia digitale la
verità è qualsiasi cosa attiri l’attenzione. Sentire giornalisti lamentarsi senza nemmeno riconoscere le loro
colpe non rafforza la fiducia delle persone negli esperti. Non so se la
democrazia stia davvero annegando in un mare di false notizie, ma di sicuro sta
affogando nell’ipocrisia dell’élite.
L’unica soluzione è rivedere le
basi del capitalismo digitale. Dobbiamo fare in modo che la pubblicità online
sia meno centrale nelle nostre vite, nel nostro lavoro e nel nostro modo di
comunicare. Allo stesso tempo dobbiamo garantire più potere decisionale ai
cittadini invece di affidarci a esperti facilmente corruttibili e ad aziende
interessate solo al profitto. Questo significa costruire un mondo in Facebook e
Google non abbiano tutta questa influenza. E’ una missione degna di una
democrazia matura. Purtroppo le democrazie attuali, soffocate dalla negazione,
preferiscono dare la colpa a tutti meno che a sé stesse.
Articolo uscito su
Internazionale del 12 gennaio 2017
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