E’ per lo meno
strano e dovrebbe far riflettere tutte le persone di buon senso che
l’amministratore delegato della Apple, Tim Cook, abbia dichiarato di non volere
che suo nipote usi i social.
Ormai queste
piattaforme fanno parte della vita di miliardi di persone e chi le usa non le
abbandonerà certamente perché qualcuno gli dice che sarebbe più felice senza.
Dobbiamo rassegnarci che il progresso non sia sempre progresso e che
l’autostima sarà sempre più condizionata da uno schermo piuttosto che dagli
incontri faccia a faccia.
I millennials (
i nati fra i primi anni ottanta e la fine degli anni novanta) sono oramai
compromessi dal poter vivere una vita di relazione reale e non sono chiare
quali conseguenze tutto questo avrà sulla società futura ma certamente non
saranno migliorative per la relazione diretta di cui gli umani necessitano per
la loro socializzazione e crescita.
E non se ne rendono
conto, ricordo ancora una conversazione che ebbi qualche tempo fa con un
giovane di 20 anni, mi disse che aveva chattato con una “ragazza molto bella” gli
chiesi come faceva a essere certo che fosse una ragazza e che fosse anche molto
bella e non un camionista di sessanta anni di Trapani. Ricordo la sua
espressione quando si rese conto che gli scambi di messaggi sui social
permettono alle persone di essere quello che vogliono ma raramente quello che
sono. E se questo giovane, abbastanza intelligente ed iscritto alla università,
non ci aveva pensato, figuriamoci quale possibilità ha un adolescente di 12 o
13 anni.
Qualche tempo fa
un noto giornalista di Times ha scritto che i suoi figli adolescenti erano
continuamente alla ricerca di sfondi perfetti per i loro selfie. Consideravano
100 “mi piace” un motivo di estasi e meno di 20 una umiliazione. Non è una sorpresa che l’ossessione dei teenager per il proprio
aspetto si sia trasferita online, ma adesso il bisogno di approvazione
coinvolge un pubblico più vasto e di diverse età.
Gli adolescenti si mettono in mostra e gli altri li
applaudono, forse nella speranza di essere applauditi a loro volta. O, cosa
ancor più dannosa, si mettono in mostra e gli altri gli invidiano.
Il problema non
è risolvibile ma un tentativo si può fare, chiedere a coloro che sono
condizionati dai social di scegliere un parente anziano che gli parli delle
esperienze di vita per lui più preziose.
Quando
ripenserai alla tua vita, scoprirai che quello che conta davvero non è quello
che è successo su internet. Per quelli presi dal bisogno frenetico di postare,
aggiornare e contare di continuo i “mi piace” sul loro profilo non ci sarebbe
terapia migliore, forse.